Raffaella Monteforte doveva essere morta entro il 2011.
Perchè questo è il limite di vita che le avevano dato. Massimo cinque anni dalla diagnosi della malattia.
Così dicono le statistiche nel suo e in molti altri casi.
Ma questo dopo… all’inizio il tempo che le era stato dato da vivere era di sei mesi.
Ci sarebbe tanto da dire su queste sentenze temporali e sull’impatto traumatizzante che possono avere sul corpo-mente di una persone. E ci sarebbe da chiedersi -dando al momento per buona l’analisi statistica che le supporta- perché entro pochi anni tante persone con patologie tumorali vengono meno. E partendo da queste doande affrontare quesiti scomodi, tipo quello se certe tipologie di cure, come la chemioterapia, contribuiscano ad accellerare un decorso infausto, oltre che a rendere drammatica la qualità della vita. E se non vi siano altre strade per guarire, o per bloccare la malattia, o, perlomeno, per vivere gli anni che si vivranno in modo decente, senza tormenti e sofferenze senza fine.
E poi, ci sarebbe da parlare su quello che si può fare prima per ridurre drasticamente la possibilità di sviluppare patologie tumorali
Sono tutte riflessioni, quesiti e domande che da tanto sono presenti, e che hanno coinvolto anche quegli scienziati, ricercatori, medici che non volevano, e non vogliono, dare per scontate tante domande e tante risposte.
Ma sono tutte cose che, a volerle anche solo sfiorare, vanno ben al di là della portata che può avere la premessa a questa intervista.
Questa intervista si colloca sulla scia di un percorso di conoscenza che da anni ho intrapreso sul Metodo Di Bella; in merito al quale ho fatto anche svariate interviste.
Raffaella Monteforte è una ragazza romana, che da otto anni vive la malattia tumorale. Per sei anniidi, lei ha vissuto un interminabile calvario. Un calvario in cui ci sono state sette operazioni; tra cui l’asportazione di utero e ovaie. Un calvario in cui ci sono stati due anni di chemioterapia; chemioterapia così devastante, che Raffaella arrivò a vivere in un (quasi) costante stato di dolore, nella incapacità di fare quasi tutto.. nel non potere neanche ingerire liquidi, se non tratite cucchiaini.. nel non poter toccare pareti per non prendere la scossa… nel perdere le unghie dei piedi.. nel dovere stare quasi al buio, non potendo reggere la luce.. e tanto altro.
Le operazioni, inoltre, visto che hanno comportato l’asportazione di utero e ovaie, per lei sono state un colpo mortale dato ad un suo sogno, quello di potere avere figli.
Per sei anni lo scatenamento di operazioni e di chemio ha avuto come unico esito una devastazione crescente. Dopo ogni operazione, il tumore si è ripresentato dopo pochi giorni, per poi crescere nei mesi. Ed ogni chemio non ha dato esiti su masse tumorali e linfonodi, ma ha complessivamente portato ai minimi termini lo stato vitale, la capacità immunitaria, anhe la stessa tenuta psicologica di Raffaella.
Arrivata ad un punto oltre cui continuare le era totalmente inaccettabile.. Raffaella intraprese il Metodo Di Bella, che ormai segue da due anni.
La qualità della vita si è sostanzialmente ristabilita (anche per la mancanza di chemio). Le masse tumorali non sono scomparse, ma hanno smesso di avanzare.. se non per una lesione all’inguine sinistro che è cresciuta di un centimetro.. ma allo stesso tempo la lesicone di cinque centimentri he aveva al gluteo sinistro è completamente scomparsa.
Sono risultati che hanno stupito anche molti medici ed oncologi con cui Raffaella si è confrontata. Così come restano stupiti del fatto che dopo otto anni sia ancora viva. E si tratta di una vita dove hai autosufficienza, dove non sei senza capelli, dove non hai nausea costante, dove puoi mangiare, dove puoi dormire, dove puoi guardare il cielo, dove riesci a strare con le persone.. dove ti senti sostanzialmente in te, e non costantemente annichilito e umiliato.
E andrebbe ricordato che pratiche come quella del Metodo Di Bella hanno maggiore efficacia quando il corpo non è stato chemiotrattato. Più il corpo viene chemiotrattato e radiotrattato, più, si ritiene (lo affermava lo stesso professor Luigi Di Bella) più, potremmo dire, la potenzialità immunitaria del corpo è stata terremotata, più la vitalità cellulare è stata debilitata e con essa la capacità delle cellule di rispondere a un trattamento biologico.
Comunque la pensiate, una interista del genere merita di essere letta.
Anche per solcare la vita di una persone come Raffaella. Mi colpiva, mentre eravamo al telefono, sentirla improvvisamente ridere, nonostante poco prima, magari, avesse pianto. C’è in lei questa delicatezza d’animo che la porta davvero a giorire per un giorno di sole, per il sorriso di un bambino, per una visita improvvisa, per ogni giorno in più da vivere…
“Dimentica, c’è chi dimentica, distrattamente un fiore, una domenica..”.. cantava Renato Zero in una sua canzone..
—————————————————————————————————————————————————————–
-Raffaella, quanti anni hai?
35.
-Di dove sei e dove abiti?
Sono nata a Roma e vivo a Roma.
-Come è stata la tua vita prima della malattia?
Prima della malattia ho avuto molti dolori,ma quello più devastante che ancora porto dentro di me e’ la morte del mio papà,quando avevo 15 anni. Per me lui era tutto.. il mio punto di riferimento, il mio principe, la mia vita. Senza di lui tutto e’ stato più difficile. Ancora oggi dopo quasi 20 anni il dolore e’ ancora forte, ma ho imparato a conviverci e ad andare avanti.
-Quando è emersa la malattia?
Ho scoperto di essere malata a 26 anni, perché facevo tutti gli anni le visite di controllo che consiglio di fare sempre a tutti perché a me hanno salvato la vita. Andavo una volta l’anno dalla ginecologa, dall’oculista e dal dentista. All’età 26 anni feci la visita ginecologica da una ginecologa che mi aveva consigliato una mia amica, la quale mi disse che avevo una massa e di fare l’ecografia trans vaginale. Da questa ecografia risultava che non si vedeva l’ovaio sinistro. L’ospedale in cui andai, all’isola Tiberina, mi disse che era una cosa normale e, se lo avessi ritenuto opportuno, la mia ginecologa mi avrebbe fatto fare un’ecografia pelvica. Quando sono andata dalla mia ginecologa, e le ho portato questa ecografia in cui non si vedeva l’ovaio sinistro, lei mi disse che poteva essere una cosa normale. Se due persone, due medici, di cui anche la mia ginecologa, mi avevano detto così, non avevo dato importanza al fatto che non si vedeva l’ovaio sinistro. Sempre in quello stesso anno, io e una mia amica siamo coinvolte in un incidente automobilistico. Praticamente sono stata in cura per un mese, ho dovuto fare delle punture e dove sono andata a fare queste punture, c’era una stanza in cui c’era una ginecologa. Mi faccio visitare anche da lei. Era ottobre del 2006. Questa ginecologa si accorge che quella massa non è all’interno dell’utero, ma all’esterno, e mi ordina di fare l’ecografia pelvica. Io faccio questa ecografia pelvica –la faccio a pagamento, perché la cosa era urgente e non potevo aspettare i normali tempi di attesa delle visite- e l’ecografo si accorge che c’è una massa di 10 cm per 15 cm, all’esterno dell’utero, nel mio basso addome nella parte sinistra, mi controlla tutto quello che mi può controllare e mi dice di fare subito una Tac. Faccio la Tac il 12 dicembre, presso l’ospedale San Giovanni di Roma, perché anche se era urgente i tempi di attesa in Italia sono allucinanti. Il dottore che fece la Tac mi disse subito che c’era qualcosa che non andava, che vedeva una massa e, di andare, dopo due giorni, a ritirare la Tac e di portare una ricetta con ricovero, perché mi dovevano ricoverare per analizzare questa massa, tramite una paloscopia. Mi hanno ricoverato il giorno dopo che avevo ritirato la Tac e feci la palo scopia e poi la colonscopia; e prima di Capodanno mi dimisero.
Fino quel momento non si era ancora parlato di tumore, ma io avevo cominciato a dedurre qualcosa, visto che ero ricoverata in un reparto dove tutti erano ricoverati per tumore. Inoltre ci fu un episodio abbastanza rivelatore. Un giorno vennero un gruppo di studenti di medicina, col camice bianco, che stavano facendo tirocinio in ospedale. Passarono anche davanti al mio letto e uno di loro, prendendo la mia cartella, disse “la ragazza ha un CA, un carcinoma”, o qualcosa del genere. Non ricordo la parola precisa che ha adoperato. A quel punto i miei dubbi diventarono una quasi certezza, ma non ero ancora del tutto sicura. Potevo essermi sbagliata, potevo avere sentito male; ho voluto continuare a restare con il mio dubbio. Come ti dicevo, mi dimisero prima di capodanno, per chiamarmi in ospedale, i primi di gennaio 2007, comunicandomi che avevo un tumore.
-Quale fu la diagnosi specifica?
Carcinoma sieroso papillare forse di origine ovarico al quarto stadio con marcatore a 1700. Mi dissero che avrebbero provato vari tipi di chemio al fine di trovare quella giusta per bloccare la malattia. Avrebbero provato di tutto, visto la mia giovane età.
-Non deve essere facile vivere un momento come del genere..
No.. in quel momento ero con mia madre e con il ragazzo con cui stavo in quel periodo. Lì per lì non ho pensato al tumore in sé, come malattia che potesse distruggermi, anzi avevo anche pensieri del tipo “meglio a me che a un bambino”. Il dottore ha poi aggiunto “si presume che parta dalle ovaie, noi pensiamo di iniziare un ciclo di chemioterapico, vediamo come va, poi proviamo a curare togliendo le ovaie e forse anche l’utero”. E’ stato in quel momento che ho sofferto tantissimo, perché io ho sempre sognato di avere dei figli. E la concreta prospettiva di non averli è stato devastante. La chemioterapia la inizia dopo pochissimo tempo.
-Tu non hai avuto nessun dubbio sul fatto che potevi pure non farla? Ti è stato fatto qualche cenno al fatto che potessero esistere delle alternative?
Assolutamente. Non mi venne prospettata alcuna possibilità alternativa alla chemio. Circa il modo di procedere, ho saputo con gli anni che ad alcune donne, prima di iniziare la chemio, venivano tolti gli ovuli, oppure il seme agli uomini. So che li levano prima di iniziare la chemio o la radio perché queste pratiche potrebbero rendere sterili. Però a me tutto questo non venne fatto. Loro pensavano che io sarei dovuta morire entro giugno. Questo me lo avrebbero detto in un altro momento, in cui mi sarei trovata sola, e non davanti a mia madre e il mio ragazzo. Praticamente iniziai la chemio da ricoverata. Erano i primi di gennaio.
-Non tornasti proprio a casa?
No.. dopo la diagnosi di tumore, fino a qualche giorno prima della chemio, sono tornata a casa, ma “a casa”, ho cercato di starci il meno possibile.. una era sera sono anche andata a cena fuori col mio ragazzo. Qualche giorno prima della chemio mi ricoverai. Loro volevano che facessi tre sedute per vedere come reagiva il tumore a quel tipo di chemio. La cadenza delle sedute era ogni ventuno giorni. Funzionava così: facevo la chemio, stavo una decina di giorni in ospedale, tornavo a casa, e poi tornavo in ospedale per l’infusione successiva.
-Che tipo di effetti avesti?
Fin dalla prima infusione ho iniziato subito a stare male. E’ indescrivibile spiegare i dolori fisici che si hanno con la chemio. Hai presente quando hai la febbre a 40 e ti fanno male tutte le ossa? Bene, immagina quel dolore moltiplicato per mille. Questo era quello che sentivo io. E infatti c’erano volte che svenivo dal dolore per quanto era forte. Non potevo alzarmi per andare al bagno, non potevo mangiare, mi nutrivano con le flebo. Quando il dottore ti parla della chemio, la prima cosa che ti dice è “rasati tutti i capelli a zero perché dopo 20 giorni dal primo trattamento li perdi”. E invece la prima cosa che dovrebbe dire sono tutti gli effetti collaterali, quelli devastanti che la persona ci può avere. Non sono soltanto nausea e vomito, ma ci sono anche tantissime sfumature che loro neanche ti dicono. Ad esempio, più passava il tempo, più facevo chemio e più avevo problemi a deglutire. Potevo soltanto deglutire le dosi di un cucchiaino raso. A parte che non riuscivo a bere l’acqua normale; o bevevo la coca cola, però sempre a dosi di cucchiaino, o acqua col limone. Se toccavo la parete con le mani prendevo la scossa; ma prendevo la scossa anche se toccavo qualsiasi cosa che era un po’ fredda, come un panno bagnato. Non riuscivo a dormire, mi dava fastidio la luce. Ma mi è davvero successo di tutto; ho avuto coliche renali, mi sono cascate le unghie dei piedi; gli stessi piedi sono diventati neri e gonfissimi. Sono arrivata al punto di essere allergica anche alla chemio e quindi dovevo fare l’antistaminico. Tra antistaminico, antidolorifici, cortisone, da che perdevo peso, sono arrivata a prendere 30 kg. Ho subito cose umilianti per l’essere umano; cose che non riesco a raccontare perché mi sento umiliata. Tutto questo non te lo dicono, per non metterti paura. Però dopo la paura c’è lo stesso, perché senti tanto di quel dolore.Comunque, ti sto parlando di quello che mi è successo anni. All’inizio le reazioni erano soprattutto nausea, vomito, difficoltà ad andare in bagno, svenimenti ,coliche renali e dolori fortissimi a ogni parte del corpo. Gli effetti collaterali, comunque variano anche a seconda della persona e del tipo di chemio. Tra l’altro, in quei mesi mi aveva lasciato il ragazzo con cui stavo. Quando gli ho detto che forse non sarei arrivata a giugno, lui ha pensato bene di sparire proprio. Forse ha avuto paura visto che aveva avuto altri casi in famiglia. Per me è stato molto duro anche il semplice fatto di stare in quel reparto dove c’è molto dolore, dove le persone si spengono ogni giorno, dove sai che anche tu potresti essere la prossima.. non era molto facile.
-Un trauma nel trauma..
La cosa che più mi tormentava era, però, he se mi avessero tolto ovaie ed utero, non avrei potuto avere figli. Di fronte a questa mi angoscia loro mi fecero capire che non era un problema da pormi.. “non ti preoccupare di non poter avere figli, noi non sappiamo neanche se ci arrivi a giugno..”.
-Ci sarebbe tanto da dire su questa “delicatezza”…
Mi dissero anche che, quello che stavano cercando di fare, erano dei tentativi, per ottenere comunque qualche risultato. Io chiesi loro di non accennare nulla a mia madre, che già aveva avuto un infarto e non volevo che gliene venisse un altro.
-Ti sei trovata di fronte alla prospettiva di poter morire..
Io ero in una fase di tale dolore sia fisico che nell’anima che per me la morte era l’unica via di salvezza. Però, quando stavo bene, ero talmente felice di essere viva, che questo era qualcosa di più forte del dolore. Cercavo di prendere tutto ciò di cui era possibile.. sensazioni, emozioni, attimi di vita per darmi forza per i giorni in cui vivevo l’inferno. Per far si che quando stavo male e facevo la chemio ,la morte non doveva essere l’unica alternativa a trovare pace.
-Cosa avvenne dopo le prime tre sedute di chemioterapia?
Dissero che quel tipo di chemioterapia non funzionava e che dovevo passare ad un altro tipo di chemio. Mentre le prime tre sedute le feci da ricoverata, gli altri cicli di chemioterapia le fece in day hospital; entravo e uscivo dall’ospedale lo stesso giorno.
-E man mano che procedevi con queste altre tipologie di chemio?
Sempre la stessa storia. Il farmaco non funzionava. Il tumore non reagiva. I marcatori continuavano a salire. Fino a novembre.-Come passasti quella estate? Cercavo di fare tutto quello che non avevo fatto. Come mangiarmi un kebab. Non avevo mai mangiato un kebab fino ad allora.
-E sei arrivata a novembre del 2007..
Alla visita che feci presso l’ospedale San Giovanni, il primario disse “la ragazza è troppo giovane , non possiamo mandarla a casa senza fare un tentativo chirurgico. Io apro per vedere la situazione. Se non si può fare nulla, io richiudo e la mandiamo a casa. “. Negli ultimi mesi le dimensioni del tumore erano sempre le stesse, intanto i marcatori continuavano a salire. Erano arrivati a 2800 dai 1700 iniziali. E così a novembre 2007 feci il primo intervento. Il giorno prima dell’intervento il primario venne da me e mi spiegò la situazione. Mi disse “facciamo questo tentativo. Se ti svegli in camera intensiva o in rianimazione, vuol dire che c’è ancora una possibilità. Se invece ti svegli nella tua stanza vuol dire che non c’è più niente da fare”. Era come dire che sarei stata spacciata; per me non ci sarebbe stata più alcuna strada, né chemio, né intervento. Quella sera era rimasto un mio amico, fino alle tre di notte, a farmi compagnia. Grazie di cuore Patrizio non l’ho scorderò mai. E quando l’ho abbracciato per salutarlo ho pensato “questo è l’ultimo abbraccio della vita mia che do”. Poco prima dell’operazione piansi, perché pensavo che quelli erano gli ultimi momenti lucidi della mia vita e per un insieme di emozioni che sono impossibile da descrivere a parole solo se lo vivi le puoi capire veramente. Il mio intervento sarebbe dovuto durare all’incirca fino alle sei del pomeriggio. Fui la prima ad entrare in sala operatoria, alle 8 e l’intervento finì alle 11:30. Durò, quindi, pochissimo rispetto a quanto avrebbe dovuto durare. Prima dell’intervento mi avevano anche detto “se ti risvegli e ti abbiamo operato, ti avremo tolto utero, ovaie, un pezzo di intestino; avrai una sacchetta (la sacchetta e quel supporto dove, per un certo periodo, vanno le feci se ti levano una parte d’intestino) con un pezzo di vescica in meno… la vescica ce l’avrai più ridotta, poi proveremo a ricostruirla”. Tutti i punti che mi indicava erano quelli che secondo la Tac erano stati toccati dal tumore. Nel momento in cui venni aperta, la massa era 10 cm per 15 cm e, pur essendo vicina alle ovaie, non era attaccata alle ovaie. Era circoscritta, solo che stava appoggiata al nervo dell’inguine. Loro tolgano soltanto la massa tumorale e un pezzo di nervo dell’inguine sinistro che poi mi riattaccarono con clip metallici. Io mi risvegliai mentre mi stavano portando dalla sala operatoria alla camera intensiva. Aprii gli occhi e.. non dimenticherò mai quell’istante… vedevo intorno a me tutti gli infermieri che mi dicevano “Raffaella, abbiamo tolto solo il tumore, ci senti?”. Capivo quello che mi stavano dicendo. Ma non ne ero sicura di capire bene. Ancora vedo davanti a me tutte queste facce felici, quei grandi sorrisi.Il primario poi mi confermò che mi avevano lasciato tutto, togliendomi solo quel pezzetto di nervo. Ed io ero felice, non tanto perché mi aveva tolto il tumore, ma perché potevo avere figli. L’intervento era stato comunque un intervento tosto. Mi avevano aperto dalla bocca dello stomaco fino a sotto; inizialmente avevo vari drenaggi e sono stata diverso tempo in camera intensiva, sotto morfina. Comunque, prima di uscire dall’ospedale, mi fanno una TAC di controllo e il tumore era di nuovo presente; grandezza di qualche millimetro.
-Dopo così poco tempo? Mentre eri ancora in ospedale?
Sì.. pochi giorni dopo… il marcatore era sceso, ma il tumore era ancora presente, allo stesso posto. A quel primo intervento seguì una serie di altri interventi dove la prassi era la stessa toglievano solo la massa tumorale e vari linfonodi maligni che si erano formati all’inguine e nell’ addome. Non riuscirono mai a togliermi la lesione di 5 cm al gluteo sinistro perché era troppo in profondità. Ho subito anche due interventi al seno destro durante questi interventi, per fortuna la massa risultaa negativa.
-Non facevi in tempo ad operarti che il tumore si ripresentava..
Sì.
-Ma tra il primo e il secondo intervento, e tra il secondo intervento e il terzo tu facesti altro dal punto di vista curativo?
No. Facevo semplicemente Tac, Pet e analisi fino all’ultimo intervento 25 agosto 2010.
-Nella tua vita è successo qualcosa di particolare in quei mesi?
Avevo ripreso a lavorare e, quando non potevo andare a lavorare per via degli interventi, mi mettevo in aspettativa non retribuita. Cercavo di tenermi il mio posto di lavoro perché se lo avessi perso sarebbe stato difficile trovarne un altro.
-Torniamo all’intervento..
Il primario mi opera e toglie solo la massa tumorale, perché ovaie, utero erano negativi a malattia durante la biopsia. Le insistenze dell’oncologa perché lui togliesse almeno l’ovaio sinistro erano sempre maggiori, ma il primario rimaneva fermo sulla sua posizione. Diceva: “io non posso togliere organi buoni se non presenta malattia”. Pensa che il primario e l’oncologa avevano litigato anche durante uno dei miei intervento, nel corso di una discussione telefonica; me lo raccontò il mio primario.-Un medico onesto.. Mi diceva “io non ti voglio rovinare la vita, perché so quanto per te è importante avere figli e finché io ti apro e ti troverò puliti l’utero e le ovaie non te li levo”. E io ero felice, perché per me avere l’utero era la speranza di avere un figlio. E anche se la gente intorno mi diceva “cambia ospedale.. cambia ospedale..”, io non lo cambiavo, perché sapevo che questo primario, quando mi operava, non mi toglieva quegli organi. Forse può sembrare stupido di fronte a occhi che non sanno cosa si prova non aver figli.. ma forse non lo e’ per chi ha perso un figlio e può capire cosa provo. Ho sentito anche mamme dire frasi tipo “non e’ tutto questo gran ché avere figli nella vita..”. non voglio neanche commentarla questa frase. Alcuni, in quel periodo, sicuramente pensavano “ah guarda quella stupida a un tumore potrebbe morire e sta pensando di avere un figlio”. Ma quando tu hai un sogno lotti con tutte le tue forze per poterlo raggiungere.. anche perché.. quando non hai più un sogno.. sei morto.. In quel periodo andai anche da oncologi a pagamento; per capire fino in fondo se era vero che potevo morire oppure no. Tutti mi dicevano che potevo vivere al massimo cinque anni. Ho pagato oncologi 500 euro a visita per sentirmi dire “devi togliere utero e ovaie perché tanto figli così non ne puoi fare” e anche “comunque che col tipo di tumore che hai, puoi vivere al massimo cinque anni.” Infatti le statistiche dicono che con il carcinoma sieroso papillare al quarto stadio, quello è il tempo masse potevo avere. Queste cose me le dicevano senza giri di parole. Anche perché io ero a conoscenza del mio stato attuale di salute e comunque se pensi che all’inizio mi avevano dato sei mesi di vita, non mi sconvolgeva adesso che me ne davano non più di cinque.
-Nessuno oncologo ti accenno mai a terapie alternative o ad altri supporti che potevano esserti utili dal punto di vista terapeutico?
No. Non mi dissero mai niente. Non mi dissero mai neanche cose come “non mangiare questo, non mangiare quello”.
-Torniamo al succedersi degli eventi…
Si. A maggio 2009 feci il mio quarto intervento. Questa volta l’intervento non era stato programmato. Io ero stata ricoverata perché mi ero sentita male, e i medici scoprirono che c’erano delle aderenze che mi ostruivano l’intestino. In questo intervento ci furono delle complicazioni. Prima che mi fossi addormentata per l’anestesia, con il sondino già messo, avevo preso a vomitare… una cosa devastante. Il problema era che io sono allergica alla ciclosfolina, un antibiotico che si fa durante o alla fine dell’operazione. Loro avrebbero dovuto saperlo che ero allergica, perché, in precedenza, in un altro intervento, in quello stesso ospedale, avevo avuto delle reazioni all’unasyn; l’unasyn e cefalosfolina mi hanno spiegato che fanno parte della stessa famiglia di antibiotici. Questo evento, però, non era stata messa in cartella clinica. Le reazioni che avevo avuto nell’intervento precedente erano state lingua gonfia, macchie rosse sulla pelle, respiro affannato, ma non altro. In quest’altro intervento, invece, vado in shock anafilattico. Ho rischiato seriamente di morire. Sono riusciti a riprendermi alle 3 di notte. La mattina del giorno dopo il dottore mi disse che ero arrivata vicinissimo alla morte; al che gli risposi “mi poteva lasciare morire, perché così avevo smesso di soffrire”. Neppure questo seconda reazione allergica è stata riportata nella cartella clinica.Anche questa volta tolsero solo la massa, i linfonodi e le aderenze, ma non altri organi. Avrebbero voluto intervenire anche per togliere la lesione che era nel gluteo sinistro, ma non avevano potuto perché era troppo in profondità. Dopo l’intervento, la Tac che feci prima di essere dimessa come sempre il tumore era di nuovo lì. I successivi controlli tac, Pet, scintigrafia ossea li feci la maggior parte a Napoli in un centro specializzato; perché a Roma non c’era mai posto. Nel frattempo ero ritornata dalla mia vecchia oncologa del San Giovanni; che da qualche tempo avevo lasciato su suggerimento del mio primario di chirurgia. Il motivo era che l’oncologo del Policlino mi aveva deluso, in quanto alla mia domanda sul perché il tumore si ripresentava sempre, mi rispose “Si vede che deve essere così, non c’è un perché preciso”. Ma, da quando ero ritornata dall’oncologa del San Giovanni, lei mi riceveva solo intra moenia, ossia a pagamento. A maggio del 2010 volevano rifarmi l’intervento, perché dalla Tac risultava che avevo anche le metastasi oltre i linfonodi, oltre alla ricorrente massa all’addome. Un giorno, trovandomi vicino all’ospedale, telefonai all’oncologa e le dissi “io sono qui fuori dall’ospedale, dato che non riesco a prendere un appuntamento con lei, che devo fare?”. E lei mi rispose “Io per te non ci sono più. Tu sai cosa devi fare, vai da un’altra parte”.
-E gravissimo che lei prima si sia fatta negare e poi ti abbia risposto in questo modo indegno?
Fu doloroso, ma non solo.. andai proprio stato confusionale perché. Tu affidi la tua vita in mano a una persona.. pensi che ti deve salvare la vita.. che comunque è lì per lottare insieme a te.. invece lei che fa? Ti nega il suo aiuto in un momento così delicato della tua vita. A quel punto andai da medico del suo team, il quale mi disse che ero guarita e di tornare a luglio con un ecografia pelvica. Ero sempre più destabilizzata… “la mia tac parla di metastasi e questo mi dice che sono guarita?”. Considera che gli stessi infermieri del reparto mi dicevano “vai via da questo ospedale questi ti fanno morire”. Anche della cosa che mi disse il medio del suo team non c’è più alcuna traccia nella cartella clinica.
-L’oncologa sapeva che il tuo caso era estremo e non voleva prendersi la responsabilità.
E’ quello che hanno detto anche all’ultimo ospedale in cui andai. Il fatto che lei mi facesse andare intra moenia era un modo per farmi capire che lei non sapeva più che fare. Il mio medico di base, a quel punto, mi consigliò di andare al Regina Elena. Presi un appuntamento, dopo il quale mi chiamarono per fare una Tac e mi ricoverarono per tre giorni. Era luglio 2010. I primi di agosto mi telefonarono e mi comunicarono gli esiti della Tac, e mi dissero che mi sarei dovuta operare e che mi avrebbero tolto utero, ovai, tutto quanto. Mi ricoverano subito dopo ferragosto e mi fanno una palo scopia. La mia mente e il mio cuore voleva credere che dopo la palo scopia mi avrebbero detto. “guarda ci siamo sbagliati, non ti dobbiamo togliere utero e ovaie”. Ma non fu così. L’intervento venne programmato per il 25 agosto, pochi giorni dopo. Fino al 24 agosto 2010, ogni volta che veniva da me il chirurgo che doveva operarmi, io scoppiavo a piangere, perché sapevo cosa dovesse dirmi; e lui non riusciva mai a parlarmi. Solo il 24 agosto mi parlò chiaramente. Mi disse: “adesso basta piangere.. io e te dobbiamo parlare.. dalla paloscopia noi non riusciamo a capire se tu sei ancora operabile..credo che qui realmente ho avuto paura del tumore .. hai delle metastasi, la malattia è molto estesa, molto di più di quello che appare dalla tac.. ci sono anche molte aderenze e quindi non riusciamo a vedere tutto il tuo addome. E quindi noi ti operiamo però non sappiamo come finisce l’intervento.” Mi disse anche che sarei stata l’unica operata del giorno successivo e che il mio intervento sarebbe iniziato alle 8 del mattino e sarebbe finito intorno alle 19:00 , ma io mi sarei svegliata la mattina successiva e che durante l’operazione avrei fatto un tipo speciale di chemio all’addome; un tipo di chemio che si fa una sola volta nella vita. Io gli dissi che quel tipo di chemio l’avevo già fatta al San Giovanni.. ma.. anche questa cosa quelli del San Giovanni non l’avevano scritta da nessuna parte. Il chirurgo, in mancanza di alcun atto scritto che accertasse quello che stavo dicendo, me la fece comunque fare. Chiesi al chirurgo se, quando mi sarei svegliata avrei avuto ancora il tubo, perché avevo paura che, avendo il tubo, non sarei riuscita a respirare. E lui mi disse “se quando ti svegli avrai ancora il tubo, perché poteva succedere tu fai..ahhh.. come se prendessi una boccata ad aria a bocca aperta, ti accorgi che respiri e ti calmi.. e sta tranquilla che nel momento in cui noi ci accorgiamo che ti sei svegliata, ti stubiamo. Non ce l’avrai questo trauma”. Prima di quell’operazione, per la prima volta volli salutare mia madre (piange).. e poi mio fratello, e il mio compagno. Prima di entrare in sala operatoria, ero in fila insieme ad altre persone; ci stavano varie sale operatorie, vari reparti. E ricordo che io, che avevo una paura allucinante, mi sono trovata a dare conforto ad una signora che anche lei doveva essere operata (piange). Mi sono fatta forza, facendo forza. La mattina dopo quando aperto gli occhi e ho visto che non potevo chiudere la bocca, perché avevo il tubo in bocca, ho fatto come mi aveva detto il chirurgo; ho preso fiato, mi sono calmata. Dopo un po’ venne l’infermiera che mi disse “Sono Lucia, ti sto togliendo il tubo, stai tranquilla, adesso respirerai da sola”.Dopo un po’ che mi ero risvegliata sentivo solo il mio cuore mi faceva male, tanto batteva forte. Immagina io che ero lì, in quel lettino piccolo, piena di tubi e con un dolore lancinante al cuore, pensando che mi stava per venire un infarto. Da lì mi venne il collasso al polmone. Loro mi fecero un tubo dentro un drenaggio che mi avevano messo e, da questo tubo, spararono una specie di palloncino a parte il dolore che e’ l unica cosa che ricordo bene i fatti dovrebbero essere andati super giù così. Però continuavo sempre ad avere il cuore accelerato; e non riuscivano a capire cosa avessi. Solo dopo diverso tempo, capirono che stavo morendo disidratata e iniziarono a farmi tante flebo finché il mio cuore tornò ad un battito normale. Successivamente mi dissero di avermi tolto la colecististi in metastasi, la metastasi al diaframma destro, che mi avevano tolto l’utero, le ovaie, te tube, la sacca pelvica,omento e i vari linfonodi che c’erano; la lesione al gluteo sinistro, non riuscendo ad arrivarci, rimase là. Mi tolsero l’utero e le ovaie con tutto ciò erano pulite perché la sacca pelvica era quella malata. Togliendo la sacca pelvica in automatico dovevano togliere l’utero e le ovaie, perché non potevano rimanere senza sacca pelvica. Sono stata giorni in rianimazione intensiva, in isolamento fino ad arrivare alla mia stanza di reparto. Prima di uscire dall’ospedale, rifeci la TAC e mi dissero, anche stavolta, che la malattia era presente; ma che fisicamente non ero abilitata per fare delle chemio ed avrei dovuto aspettare finché si sarebbe potuto intervenire con le chemio. Era settembre 2010. Da giungo 2010 avevo smesso di lavorare. Un’altra brutta storia.
-Racconta..
Dove lavoravo hanno sostanzialmente –tutto lascerebbe far dedurre questo- fatto un finto fallimento per sbarazzarsi di me e di altre due persone sgradite. Il supermercato dove lavoravo fece un finto fallimento, licenziò tutti e, dopo qualche mese, riaprì, riassumendo tutti, tranne me e queste altre due persone. Quando lavoravo là, mi dicevano sempre “ma perché non ti licenzi? Poi quando guarisci ti riassumiamo noi”. Il mio principale arrivava a dirmi “la vorrei fare io la vita che fai tu”, al che rispondevo “e io la tua manco mezzo secondo, per quanto sei una persona vuota” e lui mi controbatteva “ah se non ti sta bene come ti trattiamo, quella è la porta e te ne puoi andare”, ed io “ah ti piacerebbe.. no io non me ne vado… mi devi licenziare tu se vuoi”. Botta e risposta di questo tipo c’erano ogni giorno. Alla fine hanno fatto inscenato questo fallimento, per poi intestare tutto ad un uomo di paglia. Nel momento in cui volevo fare vertenza contro i proprietari del supermercato, loro mi dissero che non c’era più niente intestato a loro. E quindi ho perso la liquidazione, oltre al lavoro.
-Dire che sono dei miserabili sarebbe essere troppo gentili verso persone come queste.. torniamo alla cronologia degli eventi..
Dal settembre 2010 fino a settembre 2011 io faccio solo Tac, Pet e analisi. Nel corso dei mesi ero passata dai 70 ai 59 kg.. Mi sentivo sempre stanca e debole. Non avevo neanche la forza di camminare per quanto ero stanca. A quel punto decisero, di intervenire perché stavo proprio sparendo fisicamente. Arrivati a settembre 2011, il mio oncologo del Regina Elena mi fece una iniezione, dicendomi che quella iniezione serviva a produrre cortisone, in moto che io potessi prendere forza per reagire fisicamente, per mettermi n condizioni di ricevere il trattamento chemioterapico che mi volevano fare. Quell’iniezione, in un certo senso, servì a qualcosa. A partire da essa, fino a quando non ho concluso la chemio, presi circa 30 kg ed ero più forte. Tieni conto che, prima di ogni seduta di chemio mi somministravano cortisone e antistaminico, e questo contribuiva a darmi peso e forza. Gli effetti collaterali della chemio erano gli stessi che avevo avuto il primo anno. La differenza era che stavolta, per via di queste “aggiunte” di cortisone, non svenivo dopo la chemioterapia. Ma l’esperienza restava sempre devastante. Pensa che prima di ogni seduta di chemio, mi davano un antistaminico sia per l allergia e sia per addormentarmi, perché era così violento l’impatto della chemio, che, una volta che giungeva il giorno della seduta, la mia mente reagiva e mi ingenerava attacchi di vomito. Cominciavo a vomitare già da casa. Questa secondo “periodo” di chemioterapia durò da settembre 2011 a novembre 2012 con sedute molto frequenti. Il 13 novembre del 2012 io faccio l’ultima chemio, me lo ricordo perché era il giorno dopo del mio compleanno. Finita la chemio, mi portarono a casa. Era quello che avveniva dopo ogni chemio. Mi mettevano su una sedia a rotelle, mi portavano alla macchina. Poi davanti al portone di casa mia sorretta salivo con l’ascensore e una volta in casa mi buttavo sul letto e lì rimanevo fino alla prossima infusione. Anche quella volta ci fu questa dinamica. Vivevo con il mio compagno. Dovevo sempre essere assistita, specialmente l’ultimo mese, perché non reagivo proprio più. Dopo l’ultima chemio, oltre a non alzarmi più dal letto, ho avuto un ascesso ad una ferita al seno di quattro anni prima. Per via di questo ascesso, mi incisero con il bisturi, senza anestesia, senza niente, e mi facevano le medicazioni con la garza, entravano dentro. Una cosa tremenda che non auguro nemmeno al mio peggior nemico. Dopo l’ultima chemio, come ti dicevo, non mi alzavo più dal letto. Pregavo Dio che mi facesse morire il prima possibile. Io interiormente mi sentivo morta fin da quell’intervento in cui mi avevano tolto utero e ovaie, perché avevo perso quello che più desideravo al mondo; la possibilità di avere figli. In più ormai sentivo un dolore fisico indescrivibile. Dovevo bere col cucchiaino. Non potevo toccare nulla, che prendevo le scosse. Non potevo neanche stare a guardare la luce, perché mi dava fastidio agli occhi; dovevo sempre stare con la serranda abbassata, al buio. In più ebbi questo accesso di cui parlavo prima e che era un segno del fatto che il mio fisico non reagiva più; che non sarei stata in grado di sopportare un’altra chemio.
Quando a dicembre, tornai dall’oncologa del Regina Elena e lei mi disse “in questo stato tu la chemio non la puoi fare, quindi per noi adesso rimandiamo la chemio al prossimo anno”. Io le chiesi quante possibilità avrei avuto di guarire con la chemio e lei mi disse che non pensavano che avrei potuto guarire, che le probabilità di guarigione erano al 30% ma che su di me la chemio fino a quel momento non aveva mai funzionato, quindi serviva solo ad allungarmi la vita. Le chiesi quanto tempi mi rimaneva. E lei disse non sapeva dirmelo; ma se avessi interrotto la chemio, sarei morta prima. Al che le dissi: “ Preferisco morire che fare un altro giorno di chemio,per lo meno riesco a vivere anche un solo giorno ma viverlo decentemente..che vivere un mese ma viverlo in quello stato”.
Lei mi rispose “Tu hai ragione, è la tua vita, devi decidere tu. Tanto la chemio su di te non funziona. Però non ti posso mandare a casa senza dirti che c’è un’altra chemio che tu puoi provare, però i risultati sarebbero sempre gli stessi. Io se fossi in te avrei fatto la stessa scelta, però tu mi devi firmare il consenso che stai rifiutando, perché io te la sto dando una possibilità di fare un’altra chemio, non oggi ma più avanti”.
“No, no.. firmo il consenso, preferisco vivere un giorno e morire anche dopodomani che vivere in quello stato ”.
Firmai questo consenso, ci salutammo, e non ti dico come sono uscita da quella stanza perché mi dicevo “è finita, sto andando a casa a morire.. non c’è più nulla da fare”. Mentre uscivo dalla stanza della dottoressa, una signora, che avevo conosciuto in quell’ospedale, mi disse “dammi il tuo numero perché comunque ti voglio sentire… Che ti hanno detto?”, “Mi hanno detto che la chemio non fa più niente, vado a casa e finisce così”, e lei mi disse “io faccio la Di Bella”, gli lascio il numero mio, ma in quel momento io non avevo dato alcun peso al fatto che lei facesse la Di Bella, così come non avrei dato peso ad altre parole. Per me era finita là. Il mio unico pensiero era come vivere i giorni che mi rimanevano. Tutto quello che ancora potevo fare, lo dovevo fare. Erano i primi di dicembre quando ero uscita dall’ospedale. Quella signora mi contattò i primi di gennaio 2013. Io nel frattempo avevo vissuto quello che pensavo fosse il mio ultimo Natale. Però stavo bene, perché un pochettino mi ero ripresa dagli effetti della chemio. Riuscivo a passeggiare, ad esempio, e per me era una gran cosa; era una vittoria. Ho avuto vicino a me veramente Amici con l a maiuscola. Una mia amica che per me è come una sorella. Aveva una bambina; io ero la madrina. Quando stavo male non riuscivo a prenderla in braccio perché non avevo le forze. Quindi, adesso che stavo un po’ meglio, cercavo di stare il più possibile con lei. Anche se era piccola, speravo che mi avrebbe ricordato.
-A volte credo che chi si sente vicino alla fine, riesce a darsi alla vita con una intensità che molti non sfiorano neanche lontanamente…. Andiamo alla telefonata di quella signora..
Allora.. i primi di gennaio mi chiamò quella signora, parlandomi del dottor Attanasio, il dottore presso il quale lei faceva la cura Di Bella. Mi disse che lui faceva anche la terapia del dolore. Io mi dissi: “Se la Di Bella non funzionasse o non me la potesse dare, vuol dire che prenderò le cure palliative”. Quando andai dal dottore Attanasio, lui mi disse “Possiamo fare un tentativo, proviamo e vediamo come reagisci”. Non parlò di guarigione; ma di un tentativo. Perlomeno mi avrebbe dato una vita dignitosa fino alla fine. Dopo neanche una settimana che avevo iniziato la cura Di Bella, mi tornavano le forze fisiche; riuscivo a camminare, a mangiare, a bere. Dopo un paio di settimane, ripresero a crescermi i capelli sulla testa. Ricominciavo una vita, non dico normale, ma quasi. E pensavo “anche se non dovesse funzionare, comunque faccio una vita dignitosa”. Dopo tre mesi faccio di nuovo la TAC di controllo; era marzo 2014. Niente era successo. Ma nel frattempo la cura Di Bella mi aveva dato una speranza, una vita, una dignità.
-Fai una sintesi di quello che avevi in quel momento..
Prima che iniziassi la cura Di Bella, il marcatore era diventato 571, e tutto quello che avevo era triplicato nelle misure. Complessivamente si trattava di: una lesione gluteo sinistro, una lesion all’inguine sinistro, la massa addome, linfonodi all’inguine destra, una lesione o linfonodo dietro la schiena, una lesione vicino alla carotide. Tutte queste cose dopo tre mesi erano rimaste uguali. L’unico cambiamento era stato una diminuzione dei marcatori, anche se di poco. Dopo altri mesi di trattamento, i marcatori sono ulteriormente diminuiti, arrivando ad essere, a tutt’oggi, a 168. Tutti gli altri linfonodi e masse sono rimasti bloccati, tranne che per quella all’inguine sinistro che è cresciuta di un centimetro.. però.. la lesione di 5cm al gluteo sinistro non c’è più.
-Quindi, potremmo dire che, due anni di terapia Di Bella ha portato, oltre al miglioramento della condizione vitale, ad una diminuzione netta dei marcatori, ed alla sostanziale stabilizzazione di linfonodi e masse, mentre per tutti i precedenti anni di malattia, essi avanzavano costantemente… unica massa ad essere aumentata, è stata quella all’inguine sinistro che è cresciuta di un centimetro.. ma, allo stesso tempo è scomparsa quella al gluteo sinistro che era di cinque centimetri.
Esatto.. E io continuo con la mia vita, che se non fosse una certa stanchezza quotidiana, sarebbe quasi normale. Nel frattempo sono sorti i problemi con l’INPS.
-Riassumi anche questo..
Allora, dal 2014 io ricevo una pensione che mi dà lo Stato per via della malattia, non riconoscendomi più una persona idonea al lavoro. Inoltre in questi otto anni ho ricevuto dall’Inps l’invalidità per malattia e l’accompagno che si dà in caso di sottoposizione alla chemio. All’accompagno non ho più diritto perché non sto più facendo la chemio. Nel 2014 ho ricevuto una visita improvvisa da parte dell’Inps che non ha riconosciuto la sussistenza della mi malattia, in quanto non ho una relazione oncologica che continua ad attestarla.
-E perché non ce l’hai?
Tutti gli oncologi si rifiutano di farmela. Perché facendo io la cura Di Bella, tutti gli oncologi hanno paura, in un certo senso, di avere grane e quindi tutti si rifiutano di relazionare il mio attuale stato di salute; ossia di trascrivere quello che dice la TAC. In mancanza di questa relazione oncologica, l’Inps non mi riconosce più come persona malata, nonostante lo stato della mia malattia è chiaramente descritto nella mia Tac.
-In pratica tu hai documentazioni, come la Tac, che attestano, fuor di ogni dubbio, che tu sia malata, e anche gravemente, ma visto che non hai trovato un solo oncologo disposto a trascrivere in una relazione oncologica quello che è il contenuto della Tac –ovvero qualcosa di oggettivo- tu per l’Inps risulti “non malata” e quindi rischi di perdere l’assegno di invalidità?
Esattamente..
-Parafrasando Lord Acton, mi verrebbe da dire.. l’assoluto burocratismo porta alla assoluta demenza..
Pensa che io devo pagare l’affitto, le bollette, la cura Di Bella,più le spese per visite, esami, ecc… più mangiare e altre spese essenziali. E allora capisci perché oltre alla pensione statale, ho bisogno dell’invalidità, anche perché la malattia è tutt’ora presente. Comunque ho deciso di procedere legalmente. In sede processuale, il giudice eleggerà un oncologo dall’album medico il quale non si potrà rifiutare e leggerà la mia TAC. Però non so quali sono i tempi di attesa per tutto questo. Spero i più brevi possibili.
-Raffaella, hai un pensiero ricorrente?
Se avessi conosciuto prima la cura Di Bella… se l’avessi conosciuta otto anni fa, non avrei fatto la chemio, non avrei buttato anni di vita dentro il letto e tra sofferenze atroci. Sono avvelenata per questa cosa. E chissà.. forse oggi sarei guarita !
-C’è qualcosa che ti ha dato forza in questi anni, durante questo tuo duro percorso?
I miei nipotini, Noemi e Mattia che sono nipotini acquisiti ,ma sono come figli per me. La musica, specialmente la voce di una mia cara amica quando canta Silvia Capasso mi da una forza immensa mi fa vibrare il cuore e mi fa sentire viva. E Gesù. Che mi ha preso in braccio nei momenti piu’ bui.. e anche se certe volte ho traballato nella sua fede so che lui e’ rimasto sempre al mio fianco e non mi ha mai lasciata sola. Io non ho mai chiesto di guarire a Dio..ma ho sempre e solo chiesto di darmi la forza di sopportare tanto dolore.
-Grazie Raffaella.
Grazie a te Alfredo per avermi dato la possibilità di portare la speranza con la mia testimonianza.. per aver dedicato parte della tua vita a me..grazie al Dottor Di Bella e al Dottor Attanasio per aver dato alla mia vita ancora una speranza, una dignità e grazie a tutte quelle persone che in questi otto lunghi anni sono sempre rimaste al mio fianco. Le loro preghiere, la loro vicinanza, il loro affetto, hanno contribuito a tenermi in vita.Non so se mai guarirò, ma la cosa sicura che so’ e che dopo quei sei mesi, devo ringraziare ogni giorno Dio per avermi ancora regalato il dono di essere viva.