Nel maggio 2014 il Subcomandante Marcos, comandante (il prefisso “sub” è riconducibile al fatto che egli è al di sotto del popolo, considerato la massima autorità) dell’esercito zapatista dell’EZLN. (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale). L’EZLN è un movimento clandestino, formato essenzialmente da indios, attivo nel Chapas, uno degli stati del Messico. L’EZLN si è distaccato dalla via degli altri movimenti armati, e si è distinto per il suo approccio pacifico. L’ideologia di fondo che lo contraddistingue parte dalla difesa della dignità degli indios e si estende alla vicinanza verso tutti coloro che subiscono ingiustizia e alla critica del sistema economico dominante fondato sul neoliberismo e sulla globalizzazione.
Il Subcomandante Marcos, nonostante la sua umiltà e il suo volersi sempre “rimpicciolire” rispetto al ruolo della collettività, è stato in questi anni una figura straordinaria. Molto più di quello “stratagemma pubblicitario” che dice di essere stato. Ci vorrebbe un libro per parlare del senso della sua figura e della sua azione. E un libro neanche basterebbe. Ci sono delle persone che nella storia sanno diventare dei “punti di riferimento”, sanno diventare un “tramite” per fare emergere ciò che già ribolle, ma che non ha un mezzo per trovare una forma potente. Lui è stato questa forma, lui ha forgiato un “discorso”.. dove l’anima indigena, e la forza profonda della terra, e la memoria dei popoli oppressi si fondessero con una dimensione radicalmente critica del sistema di potere economico mondiale e con l’ideale di una vita comunitaria più umana, per tutti.
Con la sua ironia, le sue poesie, i suoi discorsi, i suoi gesti..Marcos ha creato un ponte con persone di ogni parte del mondo e ha dato all’EZLN un respiro che mai aveva avuto.
In concordanza col principio per cui “Il vero comandante è il popolo”, e i leader non sono altro che “momenti” di una storia più ampia, dove sempre “chi sta in basso” è al centro e mai “chi sta in alto”, il Subcomandante Marcos a un certo punto è uscito di scena. Non è morto. E’ sempre vivo, anche se nessuno sa esattamente come si chiama, e cosa concretamente stia facendo ora. Ma non c’è più il suo “personaggio”; non c’è più il Subcomandante Marcos.
A La Ralidad, il 24 maggio, durante un incontro collettivo, alla chiusura di un atto di omaggio in onore di Galeano, un neozapatista ucciso dai paramilitari, Il Subcomandante Marcos, dinanzi a circa 4000 persone, annuncia la fine del Subcomandate Marcos.
Non so se il testo che leggerete è esattamente integrale o se manca qualche passaggio; ma credo che sia sostanzialmente completo.
Una cosa è certa. Le parole che leggerete dimostrano, per l’ennesima e ultima volta, la capacità di visione, la forza poetica, la generosità di un personagio che, nonostante le sue professioni di umiltà, verrà ricordato come una delle grandi anime di questo tempo.
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“Era ed è la nostra come quella di molte e molti del basso una guerra per l’umanità e contro il neoliberismo. Contro la morte pretendiamo la vita, contro il silenzio esigiamo la parola e il rispetto, contro la dimenticanza la memoria, contro l’umiliazione e il disprezzo la dignità, contro l’oppressione la ribellione, contro la schiavitù la libertà, contro l’imposizione la democrazia, contro il crimine la giustizia.
La guerra che abbiamo iniziato ci ha dato il privilegio di arrivare ad orecchi e cuori attenti e generosi e a geografie vicine e lontane, mancava quel che mancava e manca quel che manca però abbiamo conseguito lo sguardo dell’altro e dell’altra, il suo ascolto e il suo cuore. Dunque ci siamo visti nella necessità di rispondere ad una domanda decisiva; Cosa segue?Ammazzare o morire, come unico destino.
Abbiamo dovuto ricostruire il cammino della vita che è quello che avevano rotto e continuano a rompere dall’alto. Il cammino non solo dei popoli originari ma anche dei lavoratori, degli studenti, dei maestri, dei giovani, dei contadini e anche di tutte le differenze che si celebrano in alto e in basso si perseguitano e si castigano. Abbiamo dovuto inscrivere il nostro sangue nel cammino che altri dirigono verso il potere o abbiamo dovuto voltare il cuore e lo sguardo a quelli che siamo e a quelli che sono quelli che siamo, cioè, i popoli originari guardiani della terra e della memoria.
Il nostro dilemma non era tra negoziare e combattere ma tra morire o vivere.
Abbiamo scelto di costruire la vita, questo, nel mezzo di una guerra. Una guerra che anche se sorda non era meno letale.
Qui siamo i morti di sempre però adesso per vivere”“Forse più di uno crede che abbiamo sbagliato a scegliere, che un esercito che non può e non deve impegnarsi in pace. Per molte ragioni certo, però la principale era ed è perchè in questa forma finiremo per sparire. Forse è vero, forse ci siamo sbagliati a coltivare la vita invece di elogiare la morte.
Abbiamo scelto guardandoci e ascoltandoci, essendo il totale collettivo che siamo. Abbiamo scelto la ribellione, sarebbe a dire, la vita.
Sapevamo e sappiamo che ci dovrà essere la morte perche ci sia la vita. Sapevamo e sappiamo che per vivere moriamo.
Difficile credere che vent’anni dopo quel ´nada para nosotros´ risulterà che non era solo uno slogan, una frase buona per cartelli e canzoni, ma una realtà, La Realidad.
Se essere conseguenti è un fallimento, quindi l’incoerenza è la strada per il successo, la via del potere. Però noi non vogliamo andare da quella parte, non ci interessa. Con questi parametri preferiamo fallire che trionfare.
In questi 20 anni c’è stato un avvicendamento molteplice e complesso nell’EZLN. Alcuni hanno notato solo il più evidente, quello generazionale. Ora stanno portando avanti la lotta e dirigendo la resistenza quelli che erano piccoli o ancora non erano nati all’inizio del levantamiento; però alcuni studiosi non si sono resi conto di altri avvicendamenti: di classe, da quello di classe “mediero ilustrado” a quello dell’indígeno contadino. Quello di razza dalla direzione meticcia alla direzione nettamente indigena e il più importante: l’avvicindamento di pensiero. Dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare obbedendo.
Il culto dell’individualismo si incontra con il culto dell’avanguardismo nel suo estremo più fanatico.
Il razzismo della sinistra che si pretende rivoluzionaria. L’EZLN non è di questi, per questo non tutti possono essere zapatisti.”“Dalla presa del potere dall’alto alla costruzione dal basso. Dalla politica professionale alla politica quotidiana. Dai leaders ai popoli. Dalla marginalizzazione di genere alla partecipazione diretta delle donne. Dal burlarsi dell’altro alla celebrazione della differenza.
Nell’alba del primo giorno del gennnaio 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese nelle città, per scuotere il mondo. Appena alcuni giorni dopo con il sangue dei nostri caduti ancora fresco nelle strade, ci siamo resi conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a guardare dall’alto gli indigeni, non avevano lo sguardo per guardarci; abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio che videro con il passamontagna, cioè non guardarono. I nostri capi e cape dissero allora: “solo vedono il piccolo che sono, facciamo qualcuno così piccolo come loro, che a lui lo vedano e che attraverso lui ci vedano”.
Iniziò così la complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, una mossa maliziosa del cuore indigeno che siamo; la sapienza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione. Iniziò allora la costruzione del personaggio chiamato Marcos.
Avevamo bisogno di tempo per essere e per incontrare chi sapesse vederci come quello che siamo. Avevamo bisogno di tempo per incontrare chi non ci vedesse non dall’alto, non dal basso, ma di fronte, che ci vedesse con uno sguardo da compagni.
…Vi ho detto che iniziò allora la costruzione del personaggio. Se mi permettete di definire Marcos, il personaggio, allora vi direi senza titubanze, che è stato un pagliaccio”.Abbiamo lanciato una e l’altra iniziativa per incontrare l’altro, l’altra, l’otro compañero, cercando di incontrare lo sguardo e l’ascolto di cui avevamo bisogno e ci meritavamo; abbiamo fallito una e l’altra volta. Così è stato fino alla Sexta Declaración de la Selva Lacandona, la più audace e la più zapatista delle iniziative che abbiamo lanciato fino ad adesso e al fine abbiamo incontrato chi ci guarda di fronte e ci saluta e abbraccia.
All’interno gli avanzamenti dei villaggi erano stati impressionanti, e dunque è arrivato il corso ´La libertad según las y los zapatistas´, ci siamo accorti che c’era già una generazione che poteva guardarci di fronte, che poteva ascoltarci e parlaci senza aspettare guida o leadership, né pretendere sottomissione o seguimento. Marcos il personaggio non era più necessario. La nuova tappa nella lotta zapatista era pronta”.“E’ nostra convinzione e nostra pratica che per rivelarsi e lottare non sono necessari nè leader nè caudillos, nè messia né salvatori; per lottare c’è bisogno solodi un poco di vergogna, un tanto di dignità e molta organizzazione, il resto o serve al collettivo o non serve”.
“Aspetta compagno non andartene, diceva il nostro silenzio”.
Continuando ha enumerato una larga lista di morti, desaparecidos e prigionieri politici e sociali di Atenco, Ostula, Oaxaca, Ciudad de México, Italia, Chiapas, Grecia, Palestina, Cherán, Guerrero, Morelos, Puebla, Chihuahua, Sonora, Jalisco, Sinaloa, Migranti, Stati Uniti, Mapuches “nadie sigue tu paso, nadie levanta tu vida y con la última paletada sentencia, aunque agarren y castigue a los que te mataron, siempre encontraré a otra, a otro, a otros, que de nuevo te embosquen, que repitan la danza macabra que acabó con tu vida”.“Ha tanti nomi l’ingiustizia e sono tante le grida che provoca. E non dimenticare che mentre alcuni sussuranno altri gridano. L’ascolto deve trovare la strada che lo faccia fertile. Basta abbassare lo sguardo ed alzare il cuore.
La giustizia che vogliamo noi: la persistente e testarda ricerca della verità”.“Pensiamo che è necessario che uno di noi muoia perchè Galeano Viva. Abbiamo deciso che Marcos deve morire oggi.
E in queste pietre che hanno lasciato nella suo tomba imparererete a Non vendersi, a Non arrendersi e zoppicare.
Alle 2:08 dichiaro che smette di esistere il Subcomandante Insurgente Marcos, autodenominato il Subcomandante di Acciao Inossidabile.
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Alle 2:10 il Subcomandante Insurgente Marcos scende per sempre dal palco, si spengono le luci e dopo si ascolta un’onda di applausi degli aderenti alla La Sexta, seguita da un’onda più grande di appalausi delle basi d’appoggio zapatiste, miliziani e insurgentes.
Alcuni minuti dopo, si ascolta la voce in off di quello che fu il Subcomandante zapatista:
“Buone albe, compañeros, compañeros y compañeroas, io mi chiamo Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano, mi hanno detto che quando sarei tornato a nascere lo avrei fatto in collettivo”.