Non troverete solo le piante amazzoniche nell’intervista che leggerete.
Si parlerà anche di ipnosi, di psicosomatica, e di altro.
Ma ogni titolo è inevitabilmente una selezione, la scelta di un riferimento che si particolarmente rappresentativo di ciò che si leggerà.
E sono le piante amazzoniche il riferimento che voglio in primo luogo dare per rappresentare questo dialogo avuto con Salvatore Usai.
Salvatore ha avuto una vita non facile, lottando fin da piccolo con la necessità di industriarsi in ogni modo per potere campare. A un certo punto del suo percorso è diventato vigile del fuoco, che è stato il suo lavoro fino alla pensione.
Ma, in parallelo, ha vissuto anche un’altra vita, una vita sospinta da vene in cui ha sempre scorso potente il sangue della curiosità e della passione.. passione che si è focalizzata su tutto quel campo dove, al di là delle frontiere canoniche e del pensiero ordinario, è possibile agire beneficamente sull’uomo.
Spinto da questa curiosità e da questa passione ha letto migliaia di libri e si può dire che i libri ormai lo stanno sfrattando da casa sua per quanto sono numerosi.
Delle tante cose studiate e praticate, alcune in particolare sono diventate i suoi cavalli di battaglia.
In particolar modo l’ipnosi e le piante amazzoniche.
Le piante amazzoniche rappresentano un vero, splendido, delicato e profondo mondo. Un mondo portatore di un notevole impatto curativo e capace di incidere su profonde dinamiche esistenziali.
Nel corso dell’intervista Salvatore si soffermerà soprattutto sull’ayahuasca e sull’iboga, che sono considerate “piante di conoscenza” o “piante maestro”. Quel particolare tipo di piante che generano cambiamenti dello stato di coscienza e possono innescare mutamenti interiori o rappresentare, secondo quanto dicono molti che le hanno studiate e speriemntate, una via per la risoluzione di radicati traumi personali e per giungere a chiarimenti, a “risposte” di cui si sente di avere bisogno nel proprio percorso.
Salvatore parlerà anche del kambò, una sostanza curativa tratta, con particolari procedure, da una rana amazzonica avente lo steso nome.
Deve essere chiaro che avere a che fare con queste piante non è come fumarsi una canna. Non è una passegiata e non deve essere collegato a motivazioni superficiali. E comunque, a meno di non essere diventati degli esperti, ogni esperienza con questo tipo di piante deve essere accompaganta da qualcuno che padroneggia pienamente questo mondo e che sappia seguire, in tutti i passaggi, colui che si trovasse ad assumere queste sostanze.
Salvatore è anche l’amministratore di un gruppo facebook che si chiama Cancro, quello che tutti vi dovrebbero dire”.
Vi lascio all’intervista che gli ho fatto.
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-Salvatore quanti anni hai?
Adesso ho sessant’anni.
-Dove sei nato e dove abiti?
Sassari.
-Racconta il tuo percorso umano..
A metà dei 19 anni sono andato a fare il militare nei vigili del fuoco, poi ho fatto il servizio temporaneo, e poi sono entrato fisso, fino ad andare in pensione nel 2011 dopo trent’anni di servizio. Ho fatto il Vigile del Fuoco per quasi tutta la mia vita. Ho visto, nella mia vita, il tumore e il modo barbaro di approcciarsi ad esso. Mio padre e mio fratello sono morti per tumore, e per le cure annesse. Anche io, nel 1994, ho avuto diagnosticato un tumore. Un melanoma alla zona piramidale del naso. Pensa che mi avevano proposto una chemioterapia preventiva. Come si può chiamare preventiva una terapia che distrugge il sistema immunitario, distrugge il corpo e la mente? Dopo la sua estirpazione chirurgica infatti proprio per ‘’evitare’’ certe’ terapie preventive mi misi a divorare centinaia di libri di medicina naturale, sino ad inventarmi un mio protocollo personale da utilizzare in quel tempo per me stesso.
-Già… quando nacque in te l’interesse per gli approcci… “oltre frontiera”?
C’era un giallo che una volta trasmettevano alla televisione oltre 40 anni fa, “Tenente Sheridan”, non so se ne hai mai sentito parlare. L’attore che interpretava il personaggio principale era Ubaldo Lay, un sardo. In una puntata di questa serie, c’era un protagonista che parlava con una donna e che, in sostanza, ipnotizzava. Questa scena mi rimase impressa nella memoria. Un annetto dopo, in una libreria di Sassari, vidi un libro dal titolo “L’ipnotismo in venti lezioni” di Carlo De Liguori. Un libro della De Vecchi editore; costava, lo ricordo ancora, 3500 lire. Avevo sedici anni allora. Anche se non capii tutto, soprattutto certi termini medici, lessi quel libro con entusiasmo. Ma per diverso tempo ebbi ancora tutta una serie di perplessità, e mi facevo domande tipo circa “ma come mai con l’uso della parola è possibile indurre uno stato di trance in una persona, oppure provocare una anestesia ipnotica.. oppure infilare un ago nel braccio e la persona in cui è infilato quell’ago non sente dolore..?”. A 19 ani feci un esperimento a casa mia. Lo feci con il fratello di una ragazza con cui mi ero legato sentimentalmente. Pronunciai, con molta lentezza, ma anche con molta enfasi, le frasi che avevo letto dai libri. Dopo un po’ di tempo quel ragazzo cadde in trance. Io rimasti stupito, tanto che mi dicevo “questo mi sta prendendo in giro, forse sta fingendo”. Lo scossi un pochino, ma vedevo che questa persona rimaneva bloccata. Sul momento mi spaventai un pochino. Alla fine riuscii a farlo svegliare. Questi furono i miei inizi con l’ipnosi. Da quel momento lessi ogni genere di libri sull’argomento, come “ Terapie non comuni”, di Jay Haley. Il libro era incentrato sulla più grande autorità nel campo dell’ipnosi, Milton Erickson. Spulciavo le librerie alla ricerca di testi che si occupassero di queste cose. Inizialmente mi soffermai sull’ipnosi da spettacolo; come quella di Giucas Casella tanto per intenderci. Il primo spettacolo lo feci nel 1974, durante il periodo del militare. Per qualche anno continuai con questo tipo di ipnosi ipnotizzando animali ( soprattutto galline!) e esseri umani. Poi la abbandonai completamente; e per diverso tempo ebbi il rimorso di averla praticata. Mi spostai verso la vera e propria ipnosi terapeutica; come è il caso dell’ipnosi ericksoniana. Avevo già vent’anni quando aiutai una persona che aveva la balbuzie ed era il nipote di un istruttore delle Capanelle dei Vigili del fuoco. Io indussi una trance ipnotica in questa persona. A quel punto lo feci ritornare indietro nel tempo, una vera e propria trance ipnotica e lo riportai al momento in cui sorse il trauma che gli generò la balbuzie.
Si trattò di una vera e propria regressione. Agii senza le cautele che invece utilizzerei oggi. Oggi se induco una regressione d’età in una persona allo scopo di fare emergere l’origine del problema; cerco di portarla verso quel momento in modo dissociato; cioè le faccio rivivere la situazione come se fosse una spettatrice. In pratica faccio rivivere certe situazioni con una serie di filtraggi ipnotici e sotto copertura; cioè proteggendola da eventuali contraccolpi che possono manifestarsi. All’epoca, invece, feci un gravissimo errore. La indussi a tornare “direttamente” di fronte alla situazione dove iniziò a balbettare per la prima volta. Lui, ritornato in quel momento, mi disse che c’era un cane lupo che lo aveva fissato e lui si era spaventato, facendolo piangere; il cane lupo gli mostrò i denti e gli andò addosso per tentare di azzannarlo. Questo generò in lui una paura terribile che si portò dentro per anni e che lo portò ad essere balbuziente. Come agii io? Praticamente attuando quello che la PNL definisce una “ristrutturazione”. Gli feci immaginare che questo cane invece di essere minaccioso, scodinzolava, gli faceva le feste, ecc. Prima di farlo svegliare, gli diedi una suggestione post ipnotica. Gli dissi “quando tu ti sveglierai non ricorderai nulla di quello che è successo. Farai queste cose senza sapere che sono stato io a suggerirtele. Tutto si verificherà come ti è stato suggerito, per cui tu dentro il tuo inconscio immaginerai questo cane che ti gira intorno facendoti le feste, ecc”. Da quel giorno, quella persona smise di balbettare. Allora mi sembrò qualcosa incredibile. Oggi non è più così. Ancora oggi utilizzo l’Ipnosi con persone che hanno delle problematiche. Posso dirti che mi ritengo una vera e propria autorità in questo campo avendo collaborato in passato con diversi medici. A dire il vero, col tempo l’ipnosi l’ho bypassata, perché iniziai a studiare la PNL. La PNL io la definisco un aeroplano. Può essere utilizzata sia per trasferire passeggeri che per buttare bombe talmente la ritengo potente . La PNL è stata creata da Richard Bandler, che è un matematico, e da John Grinder, uno dei maggiori linguisti viventi. Loro due studiarono attentamente una serie di personaggi di eccezionale levatura: Milton Erickson, il più grande ipnotista di tutti tempi; Fritz Perls, il più grande terapista della Gestalt terapia; Virginia Satir, la più grande terapeuta della famiglia. Tutte queste persone avevano strategie con le quali ottenevano risultati superiori alla media. Dallo studio delle strategie di questi grandi talenti umani nacque la PNL.
-Che ne pensi del rapporto mente corpo nella patologia e nella guarigione?
Ho molto approfondito, nel corso degli anni, la medicina psicosomatica. Non è, come ritengono alcuni un po “estremisti”, solo la psiche a fare ammalare il corpo, ma la psiche gioca indubbiamente un ruolo decisivo. Immagina una catena; una catena che viene tirata dalle due estremità. C’è sempre un anello che si stacca prima degli altri. Quell’anello potrebbe essere, e spesso è, proprio un determinato vissuto che incide a livello psichico e fa scattare dei problemi di salute. Anche se non si deve fare l’errore, comune a certi hameriani, di ritenere che tutte le malattie abbiano una origine psichica o, come dicono loro, siano dovute a “conflitti”. Già negli anni ’50, George Groddeck curava molte forme oncologiche con la psicoterapia a Baden Baden. Si era reso conto che da eventi traumatici possono originare dei tumori. Qui in Italia abbiamo avuto forse il padre della medicina psicosomatica, il professore Luigi Oreste Speciani, che morì nel 1983; un autentico genio. Nel 1980 ebbi una breve corrispondenza con lui. Nel libro “Di cancro si vive, l’ipotesi psicosomatica” Speciani spiegava in dettaglio quello che succede a molte persone che sviluppano il tumore. Faceva l’esempio degli ebrei durante il nazismo. Nel periodo nazista, tra gli ebrei, c’era un’incidenza enorme di tumori. Incidenza che si abbassò radicalmente con la venuta meno di Hitler e del nazismo. Speciani aveva fatto una tabella, lui la chiamava PID (Principio di Identità Personale). In questa tabella aveva fatto una scala di eventi traumatici che potevano far scattare delle problematiche molto grosse, tumori compresi! Aveva messo al primo posto la morte di una persona cara; figlio, figlia, padre, madre. Seguiva la perdita del posto di lavoro o la fine di un matrimonio ecc. Nel 1974 morì il mio migliore amico, si chiamava Onofrio. Annegò mentre faceva pesca subacquea, a Santa Teresa di Gallura. Gli venne un malore, sott’acqua, a quindici metri, e morì. In seguito alla sua morte, sia la sorella, il padre, la madre, hanno sviluppato tutti il cancro. Comunque sia esiste un’ampia letteratura, in ambito medico, riguardo all’approccio psicosomatico. Ad esempio l’immaginazione di Carl Simonton; un oncologo americano che a parecchi pazienti faceva visualizzare le cellule cancerogene che venivano aggredite dal sistema. Lui aveva inventato un approccio che gli inglesi chiamano “Imagery”. In pratica si tratta della visualizzazione. Sono stati ottenuti, specie in USA, risultati eclatanti . Se tu accanto alle terapie mediche tradizionali, applichi questo supporto di natura psicoterapeutica è chiaro che farai scattare meccanismi di autoguarigione. Come diceva Oreste Speciani, la malattia prima di essere somatica è psicosomatica. Ci sono degli eventi che destabilizzano molto una persona, o comunque creano una forma di forte sofferenza emotiva. Alcune persone, attraverso una serie di filtraggi, riescono a sopportare questi eventi psicosomatici. Altre no, e a un certo punto non riescono più a metabolizzare o sostenere questo stress, e tutto questo sfocia in malattie; a volte abbastanza gestibili e curabili; altre volte molto pesanti. La nostra mente è immensa, e noi di essa conosciamo poco o nulla. Noi non possiamo immaginare, neanche lontanamente, quante sostanze di natura biochimica produce il nostro cervello. Non sappiamo, davvero, ancora quasi nulla del nostro cervello. C’ è ancora tanto da studiare su di esso e sull’interazione mente corpo.
Ai giorni nostri abbiamo un settore della ricerca e dell’applicazione medica che si chiama PNEI. Vuol dire psiconeuroimmunoendocrinoogia. Esso tratta l’influenza che la psiche esercita sul corpo e come essa possa influire colpendo vari settori, da quello endocrinologico a quello immunologico, neurologico o psichico. Tre persone che hanno lo stesso problema di salute, hanno una modalità mentale diversa nell’affrontarlo. Molto probabilmente due si ammaleranno più gravemente mentre il terzo invece guarisce perché mentalmente riesce a gestirlo. Anche la cosiddetta carezza che facciamo al pancino del nostro bambino, quando sta un po’ male, è un approccio di natura psicosomatica. Quel bambino ha bisogno di attenzioni da parte nostra e dargli il bacetto è un atto medico. Cos’è un atto medico? E’ anche l’atto che fa la mamma nei confronti del bambino. Non è solo quello del medico quando con lo stetoscopio ti controlla i battiti cardiaci.
-Si percepisce in te questo grandissimo amore per la conoscenza…
E’ vero. . ho questa grandissima sete di conoscenza. Considera che da giovane non ho avuto la possibilità di studiare. Credimi, io ho vissuto la fame più brutta, la miseria. Mio padre era mutilato alla mano destra e noi abbiamo dovuto sempre vivere con poco; e questo ci ha impedito di proseguire gli studi. All’età di 13, 14 anni mi ritirai da scuola e mi misi subito a lavorare. La mia sete di conoscenza l’ho sviluppata nel corso degli anni, divorando migliaia di libri. Io vivo in una casa di 40 metri quadrati, dove praticamente non ci sto più, per via di tutti i libri che ho. Mi ritengo una persona resiliente. Ho voluto rimettermi in gioco perché ho avuto terribili sofferenze, incomprensioni, ecc. Io sono passato anche attraverso un matrimonio fallito; nel 90 ho divorziato. Allora ero convinto di avere ragione al 100%; oggi, grazie al lavoro psicoterapico che ho fatto verso me stesso, so che le colpe erano al 50%. Comunque, nel corso degli anni mi sono messo a studiare la medicina complementare, l’omeopatia, la fitoterapia. Le piante curative e di potere, specie quelle dell’Amazzonia, sono diventate la mia grande passione. Ho molto approfondito questo campo e ho sperimentato queste piante.
-Parliamo di queste piante, di cui sei da molti considerato un vero esperto.. innanzitutto cosa si intende per piante medicinali?
Si definiscono piante medicinali tutte le piante che hanno una azione terapeutica sul corpo umano. Superfluo dirti che tutte le piante medicinali hanno al loro interno una composizione chimica atta a lavorare sui vari distretti del corpo.
Le differenze interne che si potrebbero fare nell’ambito delle piante medicinali sono innumerevoli. Una di queste è quella tra le piante di conoscenza, dette anche “piante maestro” e le altre piante curative. Le piante maestro portano a una vera e propria espansione profonda della coscienza. Potremmo dire che tutte le piante medicinali di potere determinano una certa apertura della coscienza. Ma le piante maestro ti fanno fare un vero e proprio viaggio interiore, nel quale spesso irrompono delle “visioni” e il livello emotivo e spirituale della persona è toccato in modo intimissimo. Sono piante che possono innescare delle autentiche rivoluzioni interiori nell’arco della tua vita .
Ti parlerò di due piante maestro, l’ayahuasca e l’iboga e di un’altra sostanza curativa potentissima, il Kambò, estratto dal dorso della pelle di una rana (phyllomedusa bicolor). Questa sostanza che è usata, da centinaia di anni, dai Katukina in Amazzonia, cura un’un infinità di malattie; dalla depressione all’intossicazione e persino forme cancerogene visto la sua azione incredibile sul sistema immunitario.
L’ayahuasca invece viene utilizzata dalle popolazioni native dei Paesi sudamericani in cui è presente la foresta amazzonica; Brasile, Ecuador, Perù, Bolivia, Colombia. La bevanda di ayahuasca è ottenuta dal decotto di due piante della foresta amazzonica: una è conosciuta come liana di Ayahuasca (Banisteriopsis Caapi) e l’altra come foglia di Chakruna (Psychotria viridis). La foglia di Chakruna contiene il principio attivo della bevanda dell’ayahuasca, la dimetil-triptamina (DMT). La DMT è la sostanza responsabile delle “visioni”, che si sperimentano spesso durante l’assunzione dell’ayahuasca. L’altra componente della bevanda, la liana di Ayahuasca, considerata dagli Indios l’elemento più importante. Essi dicono che è “lo spirito della liana” ha curare e insegnare.
L’ayahuasca lavora a livello di coscienza. Questa pianta è stata studiata da Claudio Narajo, considerato il maggior psicoterapeuta vivente. Narajo, che oggi avrà 83 anni, ha studiato a fondo la struttura chimica di questa pianta. E soprattutto l’ha utilizzata moltissimo in terapia. Tra l’altro ha scritto un libro memorabile dal titolo “Ayahuasca, il rampicante del fiume celeste”.
L’ayahuasca è un allucinogeno pur non essendo un allucinogeno. A differenza di altre piante “allucinogene” a tutti gli effetti, molto spesso ti lascia la coscienza intatta. Nel corso dell’esperienza, continui ad avere la consapevolezza del tuo pensiero.
L’ayahuasca può essere utilizzata anche in ambito oncologico, infatti gli sciamani quando l’assumono entrano poi in un rapporto di isolamento con la patologia della persona. Infatti loro a livello mentale riescono a vedere i distretti del corpo dove possibilmente ci potrebbe essere un tumore. Sembrano cose irreali ma sono tutte cose vere. Loro utilizzano queste piante qui per alterare la coscienza.
L’ayahuasca non l’ho mai sperimentata. Mentre ho fatto delle esperienze, davvero molto potenti, con l’Iboga, un’altra pianta di conoscenza, un’altra pianta maestro. E’ una pianta che ha proprietà medicinali notevoli sostanzialmente corrispondenti a quelli dell’ayahuasca. Come l’ayahuasca produce stati alterati di coscienza, anche se è una pianta che funziona in modo diverso dall’ayahuasca.
L’iboga è una di quelle piante a cui ci si può approcciare ponendo un quesito che tocca molto profondamente la nostra esistenza. Una questione delicata, sulla quale magari ci tormentiamo da tempo. Qualcosa da risolvere. Un obiettivo da realizzare. Io ho posto delle domande, degli obiettivi, degli intenti. E ho ricevuto delle risposte. Queste risposte le ricevo in uno stato onirico dove mi appare un selvaggio, un uomo medicina del Gabon, che è diventato il mio spirito guida e che io chiamo Gennaro. Me lo vedo sempre seduto su un tronco di albero, di solito a petto nudo, con uno straccio che gli copre la parte genitale, il basso ventre. Questo Gennaro è una modalità tramite la quale lo spirito della pianta mi risponde.
-Tu ogni volta che fai questa esperienza incontri sempre lui?
Si..
-Il punto su cui ti sei soffermato… il “chiedere” qualcosa.. il cercare una risposta connessa a un tema che ci sta profondamente a cuore è qualcosa di connesso con le eterne ricerche interiori fatte dall’uomo in ogni epoca.
Assolutamente.. ed è importantissimo avere compreso questo punto. Tu stabilisci sempre il tuo intento, ciò che vuoi “ottenere” dall’assunzione di questa pianta. Può essere qualsiasi cosa, purché realmente collegata con le tue dinamiche interiori; si può richiedere una comprensione maggiore di se stessi, la rimozione di un trauma, e cc. L’assunzione della pianta porta una apertura di coscienza che –magari attraverso “simboli” peculiari, come nel mio caso l’apparizione di questo uomo medicina- porta a cogliere delle risposte “pertinenti”.
-Ci sono delle controindicazioni particolari nell’assunzione di questa pianta?
In linea di massima no. Va, però, assolutamente evitata se fino a poco tempo prima si era fatto uso di droghe. In questo caso il rischio il rischio sarebbe altissimo; si potrebbe finire in overdose, e anche morire. Tolte situazioni del genere, l’assunzione della pianta non ha controindicazioni particolari. Fermo restando, naturalmente, che, specie se non hai alle spalle un percorso di anni, non devi prenderla da solo, ma col supporto di qualcuno. Qui parliamo di un tipo di assunzione “intensivo” di Iboga, che è quello necessario per arrivare a stati di coscienza tali da far giungere risposte ai quesiti profondi che pone la nostra anima.
E’ importante sapere che l’iboga viene utilizzata da tantissimi anni, a livello terapeutico, anche per resettare il corpo dall’assunzione della droga. Due sessioni con la radice di iboga sono in grado di resettare il corpo dalle droghe più tenaci. Bastano a volte due sessioni per smettere di assumere alcool, sigarette e ogni genere di droga, dalla morfina all’eroina. Tutte le droghe voluttuarie sono trattabili con questa radice. Va detto che da noi questa pianta e il suo principio attivo, l’ibogaina, sono legali. Cosa che non è negli USA.
L’iboga è una pianta che, tra le altre cose, è straordinaria anche sul piano delle “dipendenze” che danno gli psicofarmaci. Con piante come l’iboga ci si può liberare dalla schiavitù degli antidepressivi e altre sostanze di questo tipo.
Proprio un mesetto fa ho fatto una esperienza con l’iboga. Appena dopo averla fatta ho scritto un post che è stato molto apprezzato. L’ho scritto alle sei di mattino, subito dopo avere concluso l’esperienza. Ho voluto subito descriverla, per non dimenticarmela. Perché sapevo, che se non l’avessi subito descritta alcuni particolari si sarebbero persi nel corso della giornata.
-Qual è il percorso di preparazione da fare se una persona volesse assumere l’iboga?
Allora.. io in genere, a partire da un paio di giorni prima, faccio una dieta abbastanza leggera; frutta, verdura, minestrine (sempre di verdura). Oltre alla dieta, pulisco il colon con delle perette in cui metto un decotto. In questo decotto ci metto foglie di carciofo, camomilla, semi di lino. La camomilla e i semi di lino agiscono a livello di emolliente del tratto intestinale. Le foglie di carciofo agiscono da colagogo, da coleritico; tolgono fuori la bile tossica, stimolano il fegato. Accanto a tutte queste sostanze ci metto naturalmente, per preparare il decotto, circa mezzo litro d’acqua. Questi clisteri ti fanno evacuare, disintossicandoti.
A questo punto si tratta di prendere l’iboga. Nel caso che voglia fare una esperienza profonda -il tipo di esperienza in cui si giunge a stati onirici e vision, il tipo di esperienza in cui mi pongo un intento e ricevo una risposta- mi metto una sveglia vicino alla scrivania, controllo l’orologio e prendo due capsule di iboga. Dopo due ore ne prendo altre tre; dopo altre due ore, o due ore e mezza, ne prendo altre tre. A quel punto, dopo la terza assunzione, inizia il viaggio. Questo viaggio può durare dalle otto alle dieci ore.
Quanto ti ho appena descritto vale, come dicevo prima, se vuoi fare una esperienza profonda. Ma se voglio utilizzare l’iboga “semplicemente” a livello terapeutico, utilizzo dosi molto più basse. Procedo così: la mattina prendo delle gocce di tintura. Queste assunzioni a basse dossi non inficiano in alcun modo la tua quotidianità. Quando le prendo, posso fare i lavori domestici, uscire, guidare tranquillamente la macchina. Quello che succede è che –dopo avere assunto varie volte queste gocce, e dopo quindi che esse si sono accumulate nel corpo- cominciano a un certo punto a scattare dei processi mentali. Ad es., ti puoi trovare ad acquistare dell’abbigliamento e improvvisamente emergono dei processi mentali che tu pensavi di avere sepolto da anni nel campo della tua coscienza. L’assunzione di queste poche gocce al giorno muta il rapporto con i propri sogni. Anche le persone che dicono di non avere mai sognato In vita loro, o di non ricordarsi i sogni, quando assumono l’iboga cominciano a sognare, o a ricordare tutta una serie di sogni. Anche io, nel momento di prendere solo poche gocce, mi rendo conto di tutta questa raffica di sogni che si manifesta e che ricordi. La cosa più importante è capire quale sia la posologia più adatta a te, perché può mutare da persona a persona. Ognuno può capirlo quando comincia a starci dentro diverso tempo e a sperimentarla.
Vorrei farti una confidenza..
-Certo..
A me l’iboga ha dato una grandissima mano. Mi ha fatto superare una situazione molto delicata che ho vissuto 4 anni fa, in seguito all’interruzione di un rapporto affettivo con una donna 3 anni più grande di me. Sono stato lasciato in maniera vigliacca. Dopo due mesi dalla rottura, grazie all’esperienza fatta con questa pianta, compresi che quella persona era meglio perderla che trovarla. Durante l’esperienza con l’iboga cominciai a capire tutto quello che mi era successo. Si innescò un processo che mi ha portato un giorno a trovarmi al cospetto di me stesso. A quel punto mi sono sentito “sciolto” da tutta quella situazione. Sono delle cose che è molto difficile spiegare a voce. Chi si è sottoposto a psicoterapia del profondo può capire quello di cui sto parlando. Si tratta di quei cambiamenti sottili che, quando li vivi, ti rendi conto che non hai più bisogno di andare da uno psicoterapeuta perché sei guarito. Si può dire che l’iboga porta ad una sorta di psicoterapia accelerata. Considera che con piante come l’iboga e l’ayahuasca si possono curare anche i casi di depressione più profonda.
E’ affascinante che si riescano ad ottenere determinati cambiamenti. Innanzitutto bisogna stabilire un intento e capire che cosa vogliamo ottenere dalla pianta. A parte che senti la differenza tra il prima e il dopo. ..
Oltre le piante di conoscenza, le piante maestro, ci sono piante che sono curative. Sono tantissime. Si potrebbe parlare per giorni.. ad esempio c’è una resina- chiamata sangue di drago- che è ricavata dalla corteccia di un albero che cresce in Amazzonia. Questa resina è considerata il più potente cicatrizzante che esiste al mondo. I selvaggi dicono –è una citazione tratta dal libro di Mirella Rostaing- che è così cicatrizzante che cicatrizza anche la nuvola che ci passa sopra.
Adesso però parlo del kambò che non è esattamente una pianta, ma è una sostanza naturale dal potere curativo potentissimo.
Il kambò può essere considerato la medicina naturale più potente che esiste al mondo. Contiene delle sostanze antidolorifiche che sono addirittura cinquanta volte più potenti che la morfina. E’ una pianta utilizzatissima in Amazzonia, sia nella parte del Brasile, che del Perù, che dell’Ecuador. Innanzitutto ti dico come si ricava il kambò.
Il kambò, prima ancora di essere una sostanza curativa, è una rana originaria dell’Amazzonia (Phyllomedusa bicolor). Per estensione lo stesso termine kambò è utilizzato anche per la sostanza curativa, che è ricavata, appunto, da questa rana. I selvaggi prendono questa rana di notte e si procurano il suo veleno; dopodiché la lasciano libera. Se tu metti questa rana in un posto protetto non produrrà mai questo veleno. Deve essere comunque in un contesto selvatico e deve subire un particolare “trattamento”. Gli indigeni, dopo avere preso una rana, le legano le quattro zampe con dei fili molto sottili; e poi mettono quattro bastoncini, due davanti e due di dietro. Sostanzialmente la stendono, le “tirano” gli arti, ma senza farla soffrire. Doodiché cominciano a stuzzicarla con un bastoncino; glielo mettono nel naso, oppure glielo mettono in bocca; la stressano. A un certo punto la rana si spaventa e comincia a secernere questo veleno; una massa gelatinosa, trasparente. Loro prendono questo veleno con un bastoncino di legno e poi lo mettono da parte.
Mentre l’ibova e l’ayahuasca possono far soffrire sul piano psicologico; qui la sofferenza è fisica. L’assunzione del kambò fa vomitare e defecare tantissimo. Fai delle diarree di un colore che non hai mai visto in vita tua. Cioè espelli proprio i veleni in una maniera spaventosa.
-Come viene somministrato?
Allora… Si provocano dei piccoli forellini sulla pelle. Nel caso dell’uomo va bene il braccio destro, il petto e dietro la schiena. Le donne invece, secondo la tradizione amazzonica, devono farlo nel muscolo della gamba sinistra. Quindi si fanno delle microscopiche bruciature (possono essere fatte anche con uno stuzzicadenti bruciato). In genere si fanno dai 5 ai 7 forellini. Poi, sfregando, si toglie la pelle morta. A quel punto, in questi forellini si mette questa sostanza, che si attacca proprio alla ferita. In massimo dieci secondi, essa entra immediatamente in circolo. Ha un’azione molto rapida. Durante la somministrazione di questa sostanza devi bere molta acqua. Una volta che essa comincia ad avere effetto, il cuore comincia a batterti in maniera spaventosa e ti gonfi. Io mi gonfiai al punto che sembravo una donna al nono mese di gravidanza. Ricordo anche che il mio colorito diventò verde. A un certo punto cominci a vomitare. E non vomiti solo l’acqua. Vomiti anche una barca di roba che hai depositato nello stomaco, nell’intestino. Quando, quattro anni fa, feci la sessione di kambò, vidi un mio amico, che aveva avuto problemi di droga, vomitare un’acqua nera. La mia invece –visto che ero meno intossicato di lui- era color canarino, l’acqua dell’urina. L’effetto di questo veleno è dai 15 ai 20 minuti. Intendiamoci, non è che vomiti ininterrottamente per venti minuti. Di volta in volta ti viene somministrata acqua; che tu immancabilmente vomiti. Dopodiché ti viene data altra acqua, e così via. L’acqua vomitata è sempre sporca; è come se si facesse un lavaggio interno. Il processo di disintossicazione è totale se, arrivati all’ultima fase del vomito, espelli qualcosa di color giallo verde. Si tratta di una bile tossica. Se questo accade, la disintossicazione ha ripulito davvero tutto. Ma anche quando non si giunge fino a quest’ultimo stadio, anche quando non si arriva fino al punto di questa bile giallo verde, i risultati si vedono.
Le tossine le togli anche attraverso l’ano; fai delle scariche che sono molto dense, sembra che evacui uno yogurt dal colore giallo. Elimini le tossine anche dai pori della pelle, attraverso la sudorazione; tossine molto maleodoranti. In Amazzonia, subito dopo avere fatto il kambò si buttano nel fiume per fare un bagno.
Sicuramente l’esperienza è molto dura. Ti sembra di passare i quindici, venti minuti, peggiori della tua vita. A molte persone può venire il panico solo al pensiero. Questo tipo di esperienze, comunque, non andrebbero fatte da soli; ma con qualcuno capace che ti segue.
Tornando agli effetti, una volta fatta la sessione, stai benissimo. Ti senti immancabilmente diverso. Ti senti bene in tutti i sensi; anche a livello sessuale. Ha un’azione benefica su tutti i distretti del corpo. Se tu mi ponessi questa domanda “su che cosa agisce il Kambo?”, ti risponderei “su tutto”. Su qualunque tipo di malattia; dalla depressione, all’insonnia, a problemi di sessualità, a intossicazioni, fegato mal ridotto. E’ considerata il più potente stimolante immunitario che esiste. Dopo che hai fatto il kambò, è come se ti avessero messo in una lavatrice e ne sei uscito fuori ripulito che sei una meraviglia. Il tuo corpo sembra essersi alleggerito di un peso che aveva da parecchio. Il Kambò viene considerato “Il vaccino della foresta”. Bisognerebbe farlo almeno ogni sei mesi. Da poco Peter Gorman, che vive nella foresta, mi ha spedito il suo bellissimo libro sul kambò, scritto da pochissimo.
-E’ un tipo di esperienza che a molti spaventerebbe… la possibilità di vomitare.. di stare male..
Tu hai perfettamente ragione, ma io vorrei porre questa domanda.. “quanto è disposto a investire una persona verso il suo stato di salute?”. Ad esempio, L’aglio è uno dei più potenti regolatori della pressione. E’ un vero alimento medicina straordinario. Ha una composizione chimica eccezionale. Purtroppo qual è l’effetto collaterale dell’aglio? Per 12..24 ore ti lascia un’alitosi micidiale. Ma una persona deve sapere fare qualche sforzo, sostenere qualche scomodità, se vuole realizzare un cambiamento. Oggi si è affermata una forma di “visione medica consumista”. Le persone voglio ottenere risultati immediatamente, senza alcun tipo di sacrificio. Ma questo non è possibile. Se tu ci hai impiegato tanti anni per fare in modo che le tossine si depositassero dentro il tuo corpo, la natura non può farle scomparire subito con uno schiocco di dita. Ci vuole un certo impegno da parte tua, per portare a compimento il processo di purificazione. Per cui.. ripeto la domanda che andrebbe posta a tutti.. “quanto sei disposto tu a investire nel tuo stato di salute?”.
-Che rischi corre una persona a sottoporsi a questo trattamento?
Gli unici casi in cui è sconsigliato il kambò è se hai dei bypass, se sei una donna incinta. Pensa che in Amazzonia i bambini cominciano già a tre anni con il kambò. Tra l’altro esso è considerato l’antidoto per i morsi di serpente. Inoltre se ogni sei mesi fai una sessione di kambò, molto difficilmente d’inverno ti prenderebbe l’influenza o il raffreddore.
-Ma c’è il rischio che un vomito così intenso possa indurti degli stati di soffocamento?
Il vomito conseguente al kambò è un processo salutare.. sostanzialmente un mezzo di difesa e purificazione del corpo. Io non ho mai sentito di gente che è soffocata (o ha sfiorato il soffocamento) facendo questa esperienza. Naturalmente è chiaro che ci vuole una posizione adatta. Non ti puoi mettere in posizione supina, devi stare seduto, ecc. Anche da questo, si comprende come, specie se sei alle prime armi, ci sia qualcuno di esperto ad accompagnarti.
-Penso al dono prezioso che gli uomini medicina hanno fatto anche a noi, permettendoci di conoscere queste piante..
Sì… gli sciamani, gli uomini medicina sono i veri custodi dei più preziosa conoscenza dei poteri energetici presenti nella natura.
I grandi sciamani come Guillermo Arevalo e Don Augustin hanno all’interno della foresta amazzonica, dei veri e propri centri di cura a cielo aperto in cui vengono persone da ogni parte del mondo. Questi centri stanno in Ecuador e Perù. In essi vengono curate malattie gravissime, cancro compreso. Augustin Rivas ha all’interno della foresta amazzonica un villaggio di terapia e intorno ad esso centinaia di ettari dove ha piantato di tutto. Gli ammalati di tumore che vanno là devono fare una dieta particolare, disintossicante, con i prodotti che sono coltivati là. E poi vengono utilizzate le piante curative, come l’ayahuacasca. Anche Guillermo Arevalo fa utilizzare una alimentazione severissima.
Loro hanno una conoscenza delle piante maestro e delle piante curative, ad un livello che in occidente non potremmo mai raggiungere. Naturalmente adesso sto parlando dei veri sciamani; non di quelli che si spacciano per tali. Gli sciamani hanno una conoscenza delle piante medicinali che è su un altro piano rispetto a quella dello scienziato che mette il microscopio sulla foglia e studia le molecole che ci sono dentro.
Lo sciamano entra in una simbiosi profonda con la pianta e di essa ha una conoscenza totale. La pianta viene utilizzata nella sua globalità.
Io sono sicuro che il più grande esperto di botanica, di etnobotanica, che abbiamo in Italia, ad uno sciamano dell’Amazzonia gli arriva, forse, poco più in alto dello stinco. Noi siamo tutti pieni di formule, formulette. Possiamo sapere tutta la composizione chimica della pianta. Ma se la descrivessimo ad uno sciamano, lui ci guarderebbe con l’aria di chi pensa “ma che cazzo state dicendo”. La conoscenza delle piante medicinali da parte degli uomini medicina è straordinaria perché essi hanno la capacità di dialogare direttamente con le piante. Loro quando, debbono curare una persona, una volta che hanno assunto l’ayahuasca, vanno all’interno della foresta amazzonica ed è la pianta stessa che li chiama. E’ la pianta stessa che si rivela all’Uomo Medicina sotto forma di sogno o messaggio.. “guarda che tu stai cercando me!! Sono io la pianta che può curare questa persona”. E immancabilmente lo sciamano preleva proprio le piante che gli sono state suggerite dalle energie che provengono dalla foresta.
Riguardo l’utilizzazione di piante di questo genere, uno degli errori che si fa in occidente è quello di estrarre solo il principio sintetico, il principio attivo della pianta. Se tu togli soltanto il principio attivo, l’organismo molto spesso non riesce a tollerarlo. Gli uomini medicina, i curanderos, utilizzano tutte le componenti della pianta. Avrai sentito di quei professori di matematica che dicono “il tutto è maggiore delle parti”? Bisogna prendere tutto il fitocomplesso della pianta non soltanto il principio attivo.
Per farti capire i livelli con cui possono operare questi uomini medicina ti racconto della guarigione di una persona avvenuta con la tecnica del “risucchiamento del male ”.
Tu immagina che c’è stata una esperienza fatta con l’ayuasca da una persona, poco tempo fa, uno o due anni fa, a questo gli avevano dato due mesi di vita, va in Amazzonia e con uno di questi uomini medicina fa l’esperienza con l’ayahuasca. L’uomo medicina durante la sessione dell’ayahuasca vedeva alcuni punti del corpo di questa persona che erano molto fumosi, di colore nero. Praticamente una sorta di raggi x fatti col corpo eterico, col loro corpo sottile. Riusciva a percepire il punto dove la persona aveva la problematica. A quel punto utilizzò la tecnica dello “succhiamento”. In quei punti dove c’è il “focolaio”; il tumore, il problema… lui avvicinò la bocca e, dopo che era stato fatto una sorta di taglio. Il sangue succhiato, poi veniva sputato. Quella persona guarì.
La nostra mentalità occidentale non è abituata a queste cose. La nostra mente ha perso questa possibilità di acuire i sensi a certi livelli. Basta vedere il bambino piccolino a un anno e mezzo, due anni. Molte volte i bambini parlano da soli, hanno un amico immaginario; hanno una fantasia creativa incredibile. Poi col passare del tempo i genitori gli dicono “lascia perdere che non c’è nessuno”, oppure non gli danno la possibilità di entrare in simbiosi con il loro giocattolo immaginario. Man mano che diventano grandi, questi bambini perdono quel tipo di facoltà; non hanno più quella sensibilità che avevano da piccolini.
-Un grande potenziale di guarigione, questo delle piante medicinali, che in alcuni contesti è ancora quasi totalmente ignorato..
E’ proprio così. Immaginati cosa si potrebbe fare se si potesse usare bene una sostanza come Il kambò. Io so di persone che sono guarite da problematiche di salute estremamente pesanti. O immagina una pianta come l’iboga per curare tante forme di tossicodipendenza. Immagina quanto potrebbe essere benefico usare piante di questo genere per tanta gente che si trascina per anni in problematiche durissime.
Io vorrei che ci fosse più attenzione verso questi popoli nativi, verso la loro grande conoscenza. Che ci fosse più attenzione verso il polmone verde del mondo. E non parlo solo dell’Amazzonia. Parlo anche della foresta del Belize, del Costarica. Tutto questo patrimonio naturale è minacciato dalla pazzia della bestia umana. Stiamoci attenti perché in queste foreste c’è la radice profonda della vita!!!!! In queste foreste c’è una conoscenza sacra di incalcolabile valore. In queste foreste ci sono le medicine del nostro futuro!! Noi stiamo distruggendo la nostra stessa vita, la nostra stessa anima. Io credo che il futuro dell’umanità starà proprio nell’attingere alle conoscenze che hanno custodito questi popoli che noi definiamo selvaggi.
-Ho sentito che tu per i tuoi approcci curativi con le persone non chiedi niente.
Sì, sì.. è così..
-Complimenti perché non è da tutti..
Io lo faccio per passione e lo faccio per un voto. Soprattutto per un voto! Io un grosso debito nei confronti della buonanima di mio fratello, morto cinque anni fa di tumore… purtroppo non ho potuto fare niente per salvarlo, l’hanno ucciso con la chemioterapia. Lui si è fidato dei medici, ed io sapevo già che lui facendo quelle terapie sarebbe morto subito! Per me è stata una sofferenza terribile. Soprattutto vedendo la prima seduta che fece di chemioterapia, come lui … si era riempito il corpo di eruzioni. Gli oncologi gli avevano detto “ah, hai visto che la chemioterapia funziona”. Caro mio, quando il corpo si riempie di eruzioni vuol dire che il fegato sta partendo. Questi fanno cicli che sono delle vere e proprie bombe.
-Le cose che fai e che divulghi ti hanno mai creato problemi?
Qualche minaccia, qualche diffamazione.. ma è normale..
-Qual è un tuo obiettivo per i prossimi anni?
Creare un gruppo che possa occupasi seriamente delle medicine olistiche. Soprattutto qui a Sassari, con la collaborazione di diversi medici che siano abbastanza aperti. Quello è il mio sogno nel cassetto. Lavorare con medici che non siano schizzinosi. Che non dicano “Io sono medico, ho la laurea, tu non sei un cazzo”. Perché ognuno di noi può dare un piccolo contributo. Ci sono in Africa dei ricercatori molto bravi.. lì ci sono cliniche dove si servono anche dello sciamano, perché a volte lo sciamano può fare scattare dei meccanismi di autoguarigione che il medico con il camice bianco non sa fare scattare. Tutto può essere utile. Più frecce abbiamo nel nostro arco e più la persona che si rivolge a noi ha la possibilità di guarire.
-Grazie Salvatore.