Rita Lorefice è morta il 3 giugno 2014.Quando seppi della sua morte e degli appelli disperati della madre affinché le venissero fatte le infusioni di staminali mesenchimali, non avevo una conoscenza approfondita del c.d. “casto Stamina”. La vi-cenda delle cellule staminali mesenchimali, nella metodica portata in Italia da Davide Vannoni e poi fatta esplodere mediaticamente dalla trasmissione le Jene. Una vicenda estremamente complessa, con tanti elementi da considerare e tanti “fatti” da mettere nella loro giusta connessione, per potere provare a capire qualcosa. Mentre la rappresentazione che è stata fatta passare è stata oscenamente semplificata, completamente veicolata ad una rappresentazione stile “romanzo criminale”.
Nel giugno 2014, comunque, non sapevo ancora quasi nulla, di davvero concreto intendo, in merito alla vicenda staminali. Eppure già non mi convinceva il clima da caccia alle streghe che si era creato da di-versi mesi, e la liquidazione di tutto quanto ruotava intorno a questa metodica. Anche io avevo sentito quei genitori che giuravano sui miglioramenti che i loro figli avevano avuto tramite le infusioni di sta-minali e avevo visto qualcuno dei loro video, e avevo ascoltato o letto i loro appelli quando l’Aifa ha cominciato di mezzo e i medici di Brescia hanno incominciato ad incrociare le braccia. Non ho mai creduto che tutti quei genitori fossero solamente preda di un’allucinazioni collettive. Ci sono un po’ troppe di queste “allucinazioni collettive” nella storia medica; di queste “narrazioni” dove, se le persone si ostinano a dire che qualcosa un certo effetto lo ha avuto, allora sono le persone che non comprendono, che “si aggrappano a tutto”; mentre i miglioramenti che vedono sarebbero solo “psicologici”.E’ una vecchia storia. Come una vecchia storia è il “romanzo criminale”. Intendiamoci, probabilmente nella storia e nelle azioni di Vannoni qualcosa di losco e di ambiguo c’è davvero. Ma i suoi eventuali sbagli e truffe, nulla centravano con quello che era avvenuto a Brescia a partire dal 2011, con i 34 pazienti trattati con infusioni di staminali presso gli Spedali Civili di Brescia. E con gli effetti di questi infusioni su queste persone, specie sui bambini. Effetti che hanno sorpreso molti. Storie su cui non ci si è voluto soffermare.
Quando sentii della morte della piccola Rita, provai una rabbia sorda. Lessi della disperazione della madre, del fatto che settimane i genitori avevano implorato in tutti i modi affinché alla figlia continuas-sero ad essere somministrate le staminali, perché con esse la sua situazione aveva avuto un netto miglioramento; ed i giudici avevano dato loro ragione, ma nulla era servito. Altre infusioni non vennero fatte, e la bambina era morta. Sapevo che poco avrebbe cambiato se le infusioni fossero state ricono-sciute o meno come benefiche per un caso del genere. La situazione che si era creata in merito al metodo Stamina, oramai avrebbe portato a boicottare in ogni modo la continuazione delle infusioni. C’era un gioco troppo grande, e, si sa, chi gioca a un gioco grande, chi valuta le cose “su altri fronti”, poco si cura di una piccola bambina come Rita. Mi ripromisi di sentire la madre di Rita, prima o poi. Qualche tempo dopo conobbi a Roma Marco Bi-viano, nella tenda dove per quasi due anni, insieme al fratello Sandro, si è accampato davanti a Monte-citorio per chiedere per loro, ma anche per loro sorelle, affetti da una grave malattia, la somministrazione delle infusioni. In questa battaglia divennero un punto di riferimento per tutti. Feci a Marco Biviano una intervista. E dopo continuai a volere conoscere i protagonisti di questa vicenda. Intervistai Tiziana Massaro la madre del piccolo Federico. Giuseppe Camiolo, il padre di Smeralda. Michele Arnieri il padre di Ginevra.Avevo qualche remora a parlare con Ausilia, la madre di Rita, visto l’immenso dolore che ha vissuto. Ma un giorno gli ho chiesto se potevo intervistarla, e lei è stata d’accordo. Prima di lasciarvi all’intervista che ho fatto ad Ausilia Viola, la madre di Rita voglio concludere citando due passaggi da una lettera pubblica che i genitori di Rita fecero uscire il 13 settembre, ricordando gli eventi che aveva-no portato alla morte di Rita.
“…Rita è andata via tra sofferenze atroci, che nessun essere vivente, soprattutto una bimba così piccola, dovrebbe sopportare. Rita è stata abbandonata al suo destino, tra l’indifferenza di tanti. Rita è morta ad appena 2 anni e 9 mesi (……) la scienza ufficiale ha preferito condannarla ad una morte certa, sicura, celere; la scienza ufficiale ha sprecato tempo prezioso, ha sprecato parole su parole, ha cercato di sviare l’opinione pubblica, ha farneticato adducendo argomentazioni inesistenti; la scienza ufficiale non si è mai aperta al dialogo, al confronto, non si è mai interrogata, non ha avuto la curiosità di capire….”.
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INTERVISTA AD AUSILIA VIOLA
MADRE DI RITA LOREFICE
-Quanti anni hai Ausilia?
44
-Di dove sei originaria e dove vivi?
Sono originaria di un paese della provincia di Ragusa, Modica, dove abito.
-Cosa fai nella vita?
Insegnante di scuola primaria.
-Parlami di Rita.
Rita è nata a Ragusa il primo settembre del 2011. Alla nascita era una bambina sana e tranquilla. Nei primi mesi di vita io e mio marito notavamo che si raffreddava spesso e che aveva problemi respiratori. Però pensavamo semplicemente che fosse una bambina un po’ più gracilina del normale. All’inizio di aprile 2012, quando aveva circa sette mesi, cominciò ad avere dei problemi. Si trattava principalmente di una febbre che non passava, nonostante tutte le cure antibiotiche. Alla fine di aprile, persistendo la febbre e poiché respirava male, fummo costretti a portarla al pronto soccorso, dove stabilirono che venisse ricoverata per sospetta broncopolmonite. Dall’ecografia fatta in ospedale emerse che aveva il fegato e la milza ingrossati. Considera inoltre che in quel periodo, si notavano in Rita delle regressioni dal punto di vista cognitivo, mentre fino a poco tempo prima le tappe dello sviluppo cognitivo erano state normali, anzi certe volte era sembrata una bambina anche più precoce della sua età. Alla conclusione di tutti gli esami, all’ospedale di Ragusa ci dissero che la broncopolmonite e il fegato e la milza ingrossate erano tutte cose collegate e che bisognava indagare in campo metabolico per capire qual era il problema reale. Al che portammo Rita al Bambino Gesù a Roma per capire cosa stesse succedendo, e lì, dopo un ricovero di qualche giorno ed ulteriori accertamenti e visite, è arrivata la diagnosi. Si trattava di malattia di Niemann Pick di tipo A/B.
-Che tipo di malattia è?
E’ una malattia genetica, rara. Ci venne data, all’epoca, dalla dottoressa con cui parlammo, una spiegazione in termini semplici. Ci disse di immaginare il nostro corpo percorso da tanti treni, i quali, una volta arrivati, devono essere smontati in tanti piccoli pezzi che debbono, a loro volta, essere smaltiti. Con questa malattia è come se mancassero gli operai che scompongono il treno in tanti piccoli pezzi, e poi li smaltiscono. Quindi, nel corso del tempo, i treni, una volta giunti, non venendo ad essere smaltiti, si accumulano sempre di più. Considera che all’epoca avrei saputo dirti tantissime cose su questa malattia, adesso le ho rimosse. Comunque, i “componenti del treno” non sono altro che lipidi, grassi che, si andavano ad accumulare nel corpo di una bambina che, come Rita, aveva un problema di questo genere. E si accumulavano in modo particolare nel fegato e nella milza. A un certo punto della sua spiegazione, chiesi alla dottoressa “Scusi che cosa vuol dire che si accumulano? Quanto diventano la milza e il fegato?”. Mi ha guardato e ha detto “Enorme!”. La tipologia di cui soffriva Rita, andava ad intaccarla anche a livello polmonare e cerebrale. Da qui le sue problematiche respiratorie, ed il fatto che fosse costretta a fare spesso aerosol e da qui le regressioni cognitive. Al Bambino Gesù ci dissero di non fare niente, di non cercare altre strade perché, dicevano “Purtroppo è una malattia che corre veloce, non esiste cura alcuna al mondo”. Fu proprio in quei giorni che eravamo al Bambino Gesù, però, che avemmo il primo contatto con il mondo delle staminali. Qualcuno, telefonicamente, ci parlò di Daniele Tortorelli, un bambino che aveva la stessa malattia di Rita, il quale, tramite infusioni di cellule staminali, si era stabilizzato. Provammo a chiedere, in merito, informazioni all’ospedale; ma dissero di non saperne niente. Quando successivamente andai in cerca di notizie, venni a scoprire che proprio in quel periodo, maggio 2012, si stava parlando mediaticamente della vicenda delle staminali agli Spedali Civili di Brescia.
-Quindi tu credi che al Bambino Gesù vi dissero di non tentare alcuna strada, nonostante sapessero delle staminali mesenchimali infuse a Brescia?
Chi può dirlo! … Comunque, poi tornammo a casa. E lì ti accorgi che ti è proprio impossibile restare fermo senza fare niente. I primi a cui scrissi sono stati quelli di Telethon. Sono andata sul loro sito; ho cercato notizie sulla malattia di cui soffriva Rita, ma relativamente alla tipologia A/B, non trovai nulla. Trovai poi la sezione “Raccontaci la tua storia”, e io ho raccontato la storia di Rita. Brancolavo nel buio e avevo bisogno di aiuto, avevo bisogno di informazioni, avevo bisogno di sapere che cosa significavano determinate cose di cui avevo sentito parlare; cose tipo “terapia genica”, “cellule staminali”, ecc. Non ebbi alcun aiuto o indicazione concreta. Dopo aver scritto più volte, mi fu risposto che non era in atto alcuno studio per la Niemann Pick A/B. L’unico effetto del mio avere scritto sul loro sito, è stato che, ogni volta che c’era una ricorrenza tipo “Festa della mamma”, “Festa del papà” … mi mandavano delle storie, storie di bambini e di ragazzi che erano più o meno nelle stesse condizioni di Rita. Bambini e ragazzi destinati a morire. Ma tutto quello serviva solo per raccogliere fondi. Successivamente ho scritto ad una associazione americana la quale, perlomeno, mi ha risposto approfonditamente con una email di non so quante pagine. Anche loro mettevano le mani avanti, dicendo che per quella malattia non si poteva fare nulla, ma almeno mi davano consigli, suggerimenti, chiarimenti, ecc. Parallelamente andavamo su internet a cercare informazioni anche sulle staminali. In quel periodo si parlava della piccola Celeste, che, dopo avere ricevuto le prime infusioni, non gliene erano state somministrate altre e che, per questo, la sua famiglia si era dovuta rivolgere al giudice. In quel momento fummo consapevoli che dovevamo ricorrere in via giudiziaria.
-Era quella fase in cui per procedere con le infusioni di staminali era indispensabile le sentenza del giudice …
Sì. Noi presentammo il ricorso al tribunale di Modica. Siamo stati tra i primi a presentare ricorso. Considera che in quel momento Rita stava relativamente bene, però si cominciavano a notare dei peggioramenti. Proprio poco prima del ricorso, Rita, che fino a poco tempo prima riusciva a tenere su la testa, iniziò a perdere il controllo del capo. Stava cominciando a perdere le sue funzionalità. Trovammo un giudice molto preparato e molto umano, che ebbe la capacità di ascoltarci e di capire fino in fondo la vicenda. Il ricorso venne accolto. Era il gennaio 2013. Da qui a qualche mese ci chiamarono dagli Spedali Civili di Brescia per andare a fare il prelievo delle staminali, il carotaggio. Il prelievo fu fatto a mio marito Carmelo.
-Perché non lo fecero a te?
Effettivamente di solito loro procedevano così: per i maschietti prelevavano le cellule del padre; per le femminucce della madre. Il problema con Rita è che aveva bisogno di assistenza continua, 24 ore su 24. Ad occuparci di lei eravamo io e Carmelo. Se fossi partita io per Brescia, sarebbe dovuto rimanere lui da solo con la bambina nei giorni in cui sarei stata via, e se ne sarebbe dovuto occupare anche nei giorni immediatamente successivi all’intervento fin quando non mi fossi ripresa. Carmelo, allora mi disse di restare io a casa ad occuparmi di Rita e che sarebbe andato lui a Brescia per sottoporsi all’intervento di carotaggio. Circa due mesi dopo, alla fine di marzo 2013, fummo chiamati per la prima infusione. Quella prima volta che andammo a Brescia, restammo lì per circa tre settimane. In realtà già la prima settimana si sarebbe dovuto concludere il tutto. Ma, la mattina in cui si doveva procedere con l’infusione, non fu possibile farla, perché durante la notte a Rita era comparsa la febbre. Noi conoscevamo bene quello che avveniva a Rita, visto che stavamo con lei giorno e notte; e sapevamo che una delle caratteristiche della sua malattia erano queste febbri, che non erano febbri normali, ma febbri neurologiche. In genere era una febbre che veniva la notte e scompariva al mattino dopo averla opportunamente idratata e rinfrescata. A Brescia per quasi una settimana l’infusione venne rinviata ogni mattina perché puntualmente, nel cuore della notte arrivava la febbre. Alla fine, dopo vari tentativi, l’infusione venne rinviata di una settimana. Fummo dimessi e poiché era la settimana di Pasqua, rimanemmo a Brescia, in attesa di rientrare in ospedale subito dopo le feste. Preferimmo non ritornare in Sicilia, perché non sottoporre Rita allo stress di un ulteriore viaggio. Anche dopo Pasqua la febbre che sembrava essere passata, una volta rientrati in ospedale si ripresentò; finalmente, dopo qualche giorno, riuscimmo a fare la prima infusione. E a quel punto siamo ritornati a casa, in Sicilia.
-Quanti anni aveva allora la bambina.
Lei due anni li aveva compiuti il primo settembre 2013. Quindi in quel momento aveva un anno e mezzo.
-Quali furono gli impatti dell’infusione?
Avevamo l’impressione che Rita stesse recuperando molte delle cose che aveva perso. Era più partecipe, sorridente, si muoveva. Era come se avesse presso una “scossa” che l’aveva “risvegliata”. Prima dell’infusione riuscivo ad alimentarla solo col biberon; il cucchiaino si rifiutava di riceverlo in bocca, e comunque riusciva a deglutire solo alimenti liquidi. Dopo l’infusione ho cominciato a darle le prime pappe cremose col cucchiaino che, per la prima volta, riuscì a mandare giù. Ma quello che ci colpiva di più era il fatto che era molto più presente a livello cognitivo. Dopo alcuni giorni dall’infusione, notammo che l’addome era più sgonfio. Rita riusciva a stare seduta con le gambette incrociate, cosa che prima, per l’ingombro che aveva nell’addome, non riusciva a fare. Inoltre riusciva a dormire meglio durante la notte; e questo era collegato al fatto che riusciva a mangiare meglio durante il giorno.
-Spiega questo ultimo passaggio …
Rita mangiava ogni due max tre ore e questo valeva sia di giorno che di notte. La milza e il fegato ingrossati, toglievano spazio allo stomaco. Quindi lei assumeva un quantitativo di cibo molto limitato, al massimo 60/80 ml di latte. Oltre questo quantitativo non riusciva ad andare a causa del fatto che lo stomaco era compresso dal fegato e dalla milza. Dopo la prima infusione iniziò a mangiare anche fino a 120/150 ml durante il giorno e quindi introducendo un quantitativo sufficiente di cibo durante il giorno, veniva meno la necessità di mangiare durante la notte: di conseguenza la notte poteva riposare meglio. Altri miglioramenti riguardarono l’evacuazione: prima andare di corpo le comportava un problema, adesso si era regolarizzata anche in quello. Quando siamo ritornati a Brescia per la seconda infusione eravamo molto entusiasti.
-Quindi si può dire, dando uno sguardo complessivo che, dopo la prima infusione, la bambina era molto più “cosciente”, l’addome si era un po’ sgonfiato, riusciva a deglutire, mangiava di più, dormiva meglio e andava di corpo con regolarità.
Si e aveva anche un maggior controllo del capo.
-Quando sento cose come queste non posso fare a meno di pensare a tutti coloro che dicevano che le staminali erano acqua fresca, e i genitori, nel riscontrare i miglioramenti dei loro figli, avrebbero preso una sorta di “abbaglio psicologico”.
Guarda, non te le inventi cose di questo genere. E non possono essere frutto di suggestione e di casualità. E comunque, se non avessi visto le cose che ho visto, non avrei continuato col farle fare le infusioni. Non l’avrei riportata altre volte a Brescia. Ogni volta c’era un viaggio da affrontare e per Rita era una fatica enorme. Non l’avremmo sottoposta a tutto questo se non avessimo riscontrato dei miglioramenti obiettivi.
-Ogni quanto dovevate andare per le infusioni?
Ogni 50 giorni. E posso dirti che quello era proprio l’intervallo di tempo giusto per la malattia di Rita. Una malattia non veloce, ma velocissima, ultrarapida. Però questa cadenza fu rispettata solo con la seconda infusione. Mentre le altre volte i tempi si allungarono ben oltre i 50 giorni. Questo faceva sì che la malattia aveva modo di ripresentarsi e riprendere la sua corsa distruttiva. Poi, quando interveniva una nuova infusione, la situazione si stabilizzava nuovamente … fino a quando hanno bloccato tutto.
-Accadde qualcosa di particolare dopo la seconda infusione?
Durante il viaggio di ritorno Rita si beccò un raffreddore e comparve un po’ di febbre. Arrivati in Sicilia, la curammo per qualche giorno a casa. Ma, visto che la febbre persisteva e che le comportava problemi respiratori, fummo costretti, a un certo punto, a fare ricorso al cortisone. E noi sapevamo che, l’uso del cortisone, soprattutto se successivo all’infusione, avrebbe annullato l’effetto delle cellule staminali iniettate. Quindi si può dire che gli effetti benefici potenziali della seconda infusione, o gran parte di essi, sono andati purtroppo persi proprio perché dovemmo ricorrere al cortisone per arginare la situazione che si era venuta a creare. Va anche detto che, secondo me, fu proprio grazie alle staminali che erano state infuse, che Rita superò molto bene quel brutto periodo.
-Quindi, in sostanza, per via di questo utilizzo di cortisone gli effetti della seconda infusione furono molto più ridotti.
Esatto. Tra la seconda e la terza infusione passò più tempo rispetto ai 50 giorni canonici. La seconda infusione l’avevamo fatta a maggio 2013; la terza la facemmo agli inizi di agosto. Quindi un intervallo di due mesi e mezzo. Se consideri che il tempo “canonico” in cui l’infusione manteneva i suoi effetti benefici era circa 50 giorni, e che con la terza infusione sforavamo di 40 giorni, e considerato che avendo dovuto far ricorso al cortisone gran parte del potenziale impatto delle staminali della seconda infusione era stato perso, allora non può stupire che arrivammo a quella terza infusione con Rita che stava di nuovo male. Tutto giugno e luglio 2013 li aveva passati svegliandosi ogni notte con la febbre e altri malesseri continui da tenere a bada con medicinali, dai quali conseguivano altri problemi. Oramai, specie la notte, vivevamo col terrore. Infatti io non vedevo l’ora di partire e di fare l’infusione, perché la situazione migliorasse. Dopo la terza infusione, Rita cominciò a ristabilirsi. Sparirono completamente queste febbri; da una situazione di due mesi ininterrotti di febbre continua a una situazione in cui ci dimenticammo di cosa fosse il termometro e i farmaci antipiretici. Considera che abbiamo fatto l’infusione ad agosto, in tre giorni siamo andati e tornati, da lì in poi piano piano nei giorni successivi sparirono completamente queste febbri. Rita era di nuovo una bimba serena, riusciva di nuovo a mangiare meglio e, dopo un paio di settimane, si notò che l’addome si era sgonfiato. Anche la fisioterapista che la seguiva, quando la rivide dopo la terza infusione, ci disse “Sbaglio o l’addome è più sgonfio?”. Insomma, era come se si fosse rimesso in moto il meccanismo biologico.
-E poi ci fu la quarta infusione.
La quarta dovevamo farla a fine ottobre 2013. Ma saltò perché il giorno in cui dovevamo partire, non fu possibile, perché Rita stava male e non era in condizione di affrontare il viaggio. L’infusione venne fatta a metà novembre. E fu l’ultima infusione che fece Rita.
-Anche quella volta si sono riscontrati miglioramenti?
Sì, gli stessi effetti che avevamo riscontrato nelle altre infusioni. E puoi allora capire l’angoscia quando, cominciarono a passare i mesi, ma non ci chiamavano per la quinta infusione. I peggioramenti si sono cominciati a verificare tra febbraio e marzo, ma soprattutto marzo, 2014. Difficoltà respiratorie, difficoltà a deglutire, ecc. A marzo del 2014 Rita fu colpita da un raffreddore a causa del quale fu ricoverata in ospedale. Da quel momento dovette cominciare a fare uso del respiratore per l’ossigeno; non la potevamo più staccare nemmeno per pochi minuti. Nel frattempo il fegato e la milza si erano gonfiati in maniera smisurata. Ad aprile cominciò a soffrire di crisi epilettiche. Fino a quel momento non aveva mai avuto problemi di quel tipo. Dovemmo somministrarle farmaci antiepilettici che hanno contribuito ad aggravare la già complicata situazione. Rita in quei giorni aveva una sofferenza davvero indicibile. Oltre tutto, visto che non riusciva più a deglutire, fu necessario posizionare un sondino. Rita tuttavia, nonostante il sondino, non assimilava più e quindi cominciò a perdere peso. Il declino fu molto rapido.
-In quel periodo intervennero altre sentenze a darvi man forte?
Agli inizi del 2014, avevamo presentato un secondo ricorso per poter proseguire le cure; in questo ricorso si intimava all’ospedale di procedere prima possibile a fare la quinta infusione. Il giudice ribadì che si dovesse procedere, celermente, così come era stato stabilito nel pronunciamento del primo ricorso. Circa la prosecuzione delle cure, oltre la quinta, la sentenza era di difficile interpretazione. Ma, riguardo la quinta infusione, né la prima sentenza, né la seconda sentenza vennero rispettate. A maggio 2014 presentammo un altro ricorso, tramite l’art. 669. Il giudice ci diede nuovamente ragione e stabilì che, entro cinque giorni da quest’ultima sentenza, si procedesse con l’infusione, qualora si fossero trovati medici disposti a farla.
-In sostanza, una via per uscire dall’impasse prodotto dallo “sciopero bianco” dei medici di Brescia; sulla scorta di quanto avvenne con l’ultima infusione fatta al piccolo Federico, il figlio di Tiziana Massaro. Quando l’infusione non venne fatta dai medici di Brescia, ma dal dottor Andolina che era stato nominato ausiliario del giudice e che, non trovando medici disposti ad effettuare l’infusione, la fece direttamente lui. Nel vostro caso il giudice vi disse che se aveste trovato i medici disposti a fare loro l’infusione, si sarebbe potuta procedere?
Sì, visto che i medici di Brescia iniziarono una “obiezione di coscienza” collettiva, uno si doveva portare i medici da casa.
-E voi li avete trovati questi medici?
No, in quei giorni lanciammo appelli disperati affinché qualcuno si muovesse a pietà. Pur di smuovere qualcosa, facemmo uscire un articolo con una foto che ritraeva Rita in tutta la sua sofferenza, una foto che in tanti non sono riusciti a guardare, una foto che ci ha straziati e che abbiamo acconsentito a pubblicare solo perché eravamo disperati. Però tutto questo non servì a niente. In ogni caso aggiungo che, anche se qualcuno, in quella fase lì, si fosse reso disponibile a praticare l’infusione, ormai sarebbe stato un grandissimo problema portare Rita, nelle condizioni in cui era, a Brescia. Rita è morta il 3 giugno. La penultima notte, la notte tra l’1 e il 2 giugno, ebbe un improvviso rialzo febbrile, cominciò a respirare affannosamente, le si sfilò il sondino … soffriva terribilmente nonostante tutti gli antidolorifici che le avevamo somministrato. Si rese necessario chiamare l’ambulanza; al pronto soccorso Rita arrivò in condizioni disperate. Furono momenti di confusione per noi e per i medici perché la situazione era gravissima. Rita trascorse la notte in rianimazione … ore terribili in cui Rita ha lottato come una leonessa … uno strazio che preferisco dimenticare.
-In quei giorni qualcuno vi ha supportato, sostenuto, contattato?
La malattia di Rita, essendo rara (pensa che stando alle notizie in nostro possesso, Rita era l’unica bambina in Italia con quella tipologia di malattia), e non avendo alcuna possibilità di cura … trovava spesso i medici in difficoltà sulle decisioni da prendere e sul da farsi … purtroppo debbo anche aggiungere, che l’ospedale adatto ad accogliere pazienti con patologie così particolari e gravi si trovava a parecchi km dal posto dove viviamo e questa è stata una cosa che mi è dispiaciuta parecchio.
-Qualcuno vi ha supportato o vi ha dato una mano in quei giorni?
Nessuno, pensai di scrivere a qualche personaggio autorevole, avevo cominciato a scrivere al Papa e a qualche politico, però poi non concretizzai nulla, perché non c’era il tempo. Rita soffriva indicibilmente, tutto correva in modo rapidissimo, e io non avevo tempo, non avevo la lucidità, non avevo nulla …Il giorno del funerale di Rita conobbi due genitori di due splendide bimbe che avevano ricevuto le staminali; Michele Arnieri e Giuseppe Camiolo. Furono gli unici che conobbi personalmente tra i genitori di altri bimbi in cura con Stamina. In precedenza, durante uno dei ricoveri a Brescia, in occasione di una delle infusioni avevo, invece, conosciuto Antonio e Katya, i genitori del piccolo Gioele. Gli altri, nel corso dei mesi, li avevo conosciuti al telefono, o visti in tv o li contattavo via mail o tramite facebook. Io non ho potuto partecipare a nessuno degli eventi che vennero intrapresi sul caso Stamina. Non potevo mai staccarmi da Rita. Mi sono limitata a seguire le vicende degli altri bambini da casa. Quando poteva era Carmelo che vi partecipava.
-Ad indignare in una vicenda come questa è che tutti i grandi difensori del diritto, della legalità e della giustizia che abbiamo in Italia, non hanno speso una parola per tua figlia, né per i figli degli altri genitori coinvolti nella vicenda delle staminali. Vuoi raccontare qualcosa di ciò che avvenne nei mesi successivi al funerale?
A fine agosto, dopo un paio di mesi, abbiamo cercato di riordinare le idee, di capire quello che era successo, di cominciare, non dico a vivere, ma a respirare. Perché io non riuscivo neanche a prendere fiato. Io e Carmelo abbiamo deciso di impegnarci in un progetto, “Il Giardino di Rita”. Praticamente si era partiti dall’idea di piantare -in un piccolo giardino vicino alla scuola primaria dove insegno io, e vicino alla scuola materna dove Rita sarebbe dovuta andata- un albero in suo ricordo. Si trattava di un giardino che era abbandonato, sporco e frequentato da ragazzi che andavano lì a drogarsi. Decidemmo di non limitarci ad un albero; ma di recuperare tutto quello spazio, per dedicarlo alla memoria di Rita. Per più di un mese ci siamo messi al lavoro io, mio marito e i ragazzi del Comitato di Quartiere “Educhiamoli a Crescere”. Siamo andati lì ogni giorno per più di due mesi. Quel giardino lo abbiamo ripulito, trasformato, ridipinto e reso vivibile. Non ci sono più siringhe, e le persone che ci vanno dicono di trovare al Giardino pace, serenità … di stare bene. Il Giardino di Rita è stato inaugurato il 2 ottobre, giorno dei Santi Angeli Custodi. Quel giorno c’erano i bambini della scuola materna e della scuola primaria, insegnanti, autorità civili e religiose. Sentivamo fortissima la presenza della nostra Rita. Era lì, con noi, con tutti i presenti. E’ stato un momento molto emozionante. Successivamente, da ottobre a novembre ci siamo dedicati a completare i lavori all’interno del giardino. Abbiamo ridipinto la pavimentazione e fatto anche altri lavori. In più abbiamo anche fatto un mercatino all’inizio di novembre per mettere da parte un po’ di soldini, perché, anche se tanti hanno collaborato a questo progetto, si sono dovute fare e si continuano a fare delle spese per portarlo avanti e migliorarlo sempre più. Ogni giorno, insieme ai ragazzi del Comitato di Quartiere, al presidente di tale comitato Antonio e a sua moglie Antonella, dedichiamo un po’ di cura a questo giardino. Con iniziative come queste, cerchiamo di dare un senso a tutto il dolore che abbiamo vissuto e ad impiegarlo costruttivamente.
-Grazie Ausilia.