“Non tutto quel ch’è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L’ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quel ch’è senza corona. “
(dal “Signore degli Anelli”)
Il Signore degli Anelli, il grande capolavoro di Tolkien, è un’opera che da sempre ha suscitato un fascino straordinario in coloro che l’hanno letta e ha generato la spinta da parte di vari gruppi e correnti di pensiero ad appropriarsene.
Per molti anni l’estrema destra italiana fece di Tolkien il suo autore totem. Allo stesso modo molti autori cattolici da diversi anni a questa parte vedono nel Signore degli Anelli sostanzialmente un’opera cattolica.
I tentativi di appropriazione di Tolkien hanno lo stesso limite di tanti tentativi di appropriazione nel corso della storia. Quello di rispondere più ad una insopprimibile esigenza di chi vuole appropriarsi di qualcosa, che ad una reale volontà di conoscenza di quella “cosa”, della sua Meraviglia e del suo Mistero.
L’appropriazione è una dinamica di possesso che mira a “ricostruire” ciò che ardentemente ci piace, alla luce di quelle che sono le nostre categorie, la nostra tradizione, i nostri ideali, le nostre idiosincrasie; in poche parole, la nostra visione del mondo. L’appropriazione unilaterale non onora un’opera fino in fondo, perché le impedisce di svilupparsi in noi in perfetta libertà, le impedisce di ‘insegnarci’, perché può insegnarci sono se non siamo così ansiosi di ridurla in schemi prestabiliti, solo se non la soffochiamo entro l’orizzonte da noi considerato unico, giusto, inevitabile.
L’appropriazione di una cosa è spesso accompagnata da parole di umiltà, ma si pone quasi sempre agli antipodi dell’umiltà. L’umiltà si mantiene quando ci si pone in posizione aperta verso l’insegnamento che da qualcosa di Grande ci giunte. Posizione aperta e disponibile, non supine, in un Dialogo che sia uno stimolo perenne.
L’unico modo per amare un’opera (ma vale anche per l’amore verso altre cose..) è non volersene appropriare, è di non agire verso di essa come membri di qualcosa (un partito, una corrente culturale, una setta, una religione, ecc.) che cerchino di inglobare quell’opera nel “corpo” di cui essi fanno parte, ma come uomini liberi che, in libertà, accettano il dono e la sfida di ogni creazione, in un rispetto che è l’unica via per sperare di poter cogliere qualcosa di vero in ciò che si guarda.
Nello specifico del Signore degli Anelli, contestare il meccanismo dell’appropriazione non vuol dire negare ogni valore ad alcune delle interpretazioni ideologiche e unilaterali del Signore degli Anelli. Pensiamo all’interpretazione che ne viene data da parte cattolica. Sicuramente c’è, sublimato, un sostrato di cattolicesimo nell’opera del cattolico Tolkien. Questo sostrato non è evidente, ma è sublimato. Da questo non consegue però, come alcuni frettolosamente sostengono che “Il Signore degli Anelli sia un’opera cattolica”.
Pensare che Tolkien possa avere costruito la sua opera su semplici “travestimenti” di una preesistente visione ideologica, in modo da confezionare un’opera didattica, a tesi, vuol dire non cogliere la grandezza del lavoro di Tolkien, l’ampiezza del suo lavoro, l’accanimento del suo impegno, la nobiltà e il fascino senza tempo delle sue visioni.
Non c’è nulla di più lontano dall’opera di Tolkien che il vederla come una sorta di Summa Teologica sotto mentite spoglie. Le ispirazioni e i simboli che la animano non soffocano la storia e non la dettano in ogni minima sfaccettatura, ma sono come una matrice profonda su cui si innesta una Storia che è una Storia e non un manuale edificante.
Possiamo allora dire che nel Signore degli Anelli c’è una ispirazione cattolica, o cristiana con venature cattoliche, ma non c’è cattolicesimo. E deve anche essere ricordato che il Signore degli Anelli è incomprensibile senza il richiamo a tutta la grande mitologia nordica, a tutto quel colossale insieme di saghe (pensiamo alla “Saga dei Nibelunghi”), leggende, fiabe, ballate che si svilupparono nei secoli tra la Scandinavia, la Norvegia, la Finlandia, l’antica Germania. A tutto questo va aggiunta l’ispirazione di poemi epici come il celeberrimo Beowulf, il romanzo epico per eccellenza dell’antica Inghilterra.
Tolkien fu debitore di tutto questo mondo di miti, saghe e leggende; mondo che amalgamò con la sua visone religiosa dell’esistenza. Quello che ne uscì fu un’opera di cui si possono, appunto, dire le ispirazioni e i retaggi, ma che non è la passiva riproduzione di nient’altro che sia stato fatto prima di essa. Le sue radici e ispirazioni si amalgamano in qualcosa di unico.
Il Signore degli Anelli mette in scena l’eterno confronto tra Bene e Male.
Un confronto che si ripresenta davanti a noi ogni nuovo giorno. Un confronto che vive nei meandri stessi del cuore di ogni uomo.
Citando la prima impareggiabile prefazione al Signore degli Anelli, quella Elemire Zolà
“Infatti ci vuol poco a sentire che egli sta parlando di ci’o che tutti affrontiamo quotidianamente negli spazi immutevoli che dividono la decisione dal gesto, il dubbio dalla risoluzione, la tentazione dalla caduta o dalla salvezza. Spazi, paesaggi uguali nei millenni, ma da lui riscoperti in occasioni prossime a quelle che noi stessi abbiamo conosciuto. Sull’elsa delle spade immemoriali dura ancora il calore di un pugno, sull’erba immutevole è passata un’orma da poco, e quella presenza così prossima potrebbe essere la sua o la nostra. Non a caso The Lord of the Rings è diventato così popolare, i bambini vi si ambientano subito e i dotti godono tanto a decifrarlo quanto a restare giocati da certi suoi enigmi puramente esornativi. Si rimane stretti in una maglia ben tessuta, fatta dei nostri stessi tremiti, inconfessati sospetti, sospiri più intimi a noi di noi stessi. Perché opera di così impalpabili forze, The Lord of the Rings si divulgò smisuratamente, senza bisogno di persuasioni o di avalli, perché parlava per simboli e figure di un mondo perenne oltre che arcaico, dunque più presente a noi del presente.”
L’ANELLO DEL POTERE
Il Bene –nella conclusione della terza era della Terra di Mezzo, il mondo in cui si svolgono le vicende narrate da Tolkien, presumibilmente il nostro mondo in un’epoca collocata molti secoli fa rispetto alla nostra- è fragilissimo. Il Male sta dilagando in modo inarrestabile. Non sembrerebbe esserci speranza alcuna per la Terra e per tutti coloro che la abitano. E invece c’è ancora una speranza, c’è sempre una speranza. E una compagnia, la Compagnia dell’Anello, dovrà intraprendere il un Viaggio per tentare di distruggere le stesse fondamenta del male, incarnate dall’Anello del Potere forgiato dal Signore Oscuro, Suron.
L’Anello non è l’unico anello del potere.
C’è un antico canto che ritorna più volte nel romazo.
Tre anelli per i re degli Elfi sotto il cielo,
Sette per i signori dei nani nelle aule di pietra,
Nove per gli uomini votati alla morte,
Uno per il Signore tenebroso sul cupo trono Nella terra di Mordor dove posano le ombre. Un unico anello per reggerli tutti e trovarli E adunarli e legarli nel buio, Nella terra di Mordor dove posano le ombre
Gran parte degli Grandi Anelli, degli Anelli del Potere vennero creati dagli elfi nella seconda era del mondo. In quel tempo Sauron si aggirava tra gli elfi travestendosi da entità benefica, e insegnò loro molte tecniche e conoscenze spingendo loro a creare gli Anelli. Una volta che furono creati i vari Anelli del Potere, Sauron forgiò in segreto, presso il Monte Fato, l’Unico Anello, che avrebbe contenuto gran parte della sua forza vitale e potenza. Lo scopo era dominare con esso tutti gli altri anelli e coloro che li portavano.
A quel punto gli elfi si accorsero dell’inganno e si sfilarono gli altri Anelli. Sauron mosse guerra contro di loro riuscendo ad impadronirsi di gran parte degli altri Anelli del Potere, tranne tre, i più potenti e quelli non toccati dal male, essendo stati forgiati dagli Elfi senza l’aiuto di Sauron.
Con gli Anelli sottratti Sauron cercò di soggiogare Uomini e Nari. Nove furono dati ai re degli uomini che divennero suoi schiavi e nel tempo si trasformarono in creature spettrali chiamate Cavalieri Neri o Nazgoul. Sette furono dati ai re dei nani, ma i nani, per la natura della loro stirpe, non potevano essere schiavizzati dalla magia. Gli anelli però accrebbero ulteriormente la loro collera e la loro brama d’oro dei loro portatori. Questi Anelli nel tempo ritornarono nelle mani di Sauron; mentre i tre degli elfi sarebbero rimasti sempre nelle loro mani.
Nella Seconda Era del mondo Sauron, grazie al suo Anello, aveva praticamente resa schiava gran parte della Terra di Mezzo. Venne allora stretta un’ultima alleanza di elfi e uomini per opporsi al trionfo dell’oscurità. Nel corso di questa battaglia il principe umano Isildur con una lama spezzata riuscì a tagliare dalla mano di Sauron il dito con l’Unico Anello, riuscendo così a sconfiggerlo. Quell’Anello poteva essere distrutto presso il Monte Fato, dove era stato creato, ma non fu distrutto, perché Isildur ne fu sedotto, finché in un agguato mortale perse l’Anello che per lungo tempo non fu più ritrovato.
La perdita da parte di Sauron dell’Unico Anello, permetteva agli elfi di potere utilizzare pienamente i loro tre Anelli. Questi anelli avevano un’azione benefica, perché Sauron non aveva giocato alcun ruolo nella loro creazione, e quindi erano immuni dalla sua influenza malvagia. Essi avevano il potere di prevenire e rallentare la corruzione delle cose e di consentire la conservazione di ciò che era desiderato ed amato. Essi mantenevano giovane il luogo in cui erano custoditi. Dopo ,che grazie a Isildur, Sauron nella seconda era perse l’anello, i tre anelli furono utilizzati per curare la terra e mantenere giovani i luoghi dove gli elfi abitavano. Ma anche questi anelli si sarebbero pervertiti se Sauron fosse ritornato in possesso dell’Unico Anello e tutto ciò che era stato compiuto tramite essi si sarebbe volto verso il male
L’Anello del Potere venne ritrovato, nella Terza Era del mondo da Smeagol, uno hobbit. Gli HObbit sono una sorta di uomini molto bassi, molto socievoli e pacifici, amanti della vita serena, e testardi fino alla cocciutaggine. Smeagol fu irrimediabilmente corrotto, nel corpo e nell’anima, dal potere dell’Anello fino a diventare una creatura avvilita che si faceva chiamare Gollum. Fu da Gollum che Bilbo Baggins –hobbit della Contea- ricevette l’anello nel corso degli eventi raccontati nello “Hobbit”.
La vicenda del Signore degli Anelli vedrà l’anello consegnato al nipote di Bilbo, Frodo, che avrà il compito di essere il portatore dell’anello nel Viaggio verso la sua distruzione.
Perché distruggere l’Unico Anello?
Perché esso non può essere usato per il bene. .
L’Anello è un puro concentrato di malvagità.
L’Anello rende invisibili coloro che se lo mettono al dito, e dà un potere enorme. Ma sempre, inevitabilmente, col passare del tempo, li corromperà, trasformandoli in creature totalmente dedite al male. Cesseranno nel tempo di essere esseri viventi come noi li conosciamo, e finiranno col diventare creature ombrose e vampiresche, demoni spettrali al servizio del Signore Oscuro.. ma prima conosceranno cupidigia sfrenata, crudeltà e follia.
L’anello è al servizio di Sauron e finirà sempre per dominare coloro che lo usano.
Molti hanno voluto credere che il potere che esso da’ possa essere piegato al bene.
E questo avviene anche durante lo svolgimento degli eventi narrati nel Signore degli Anelli.
Chi sostiene questo dice “Questo potere può essere usato per il bene.. può essere una grande forza contro il male… uno strumento straordinario… sarebbe da folli non impiegarlo in tal senso… sarebbe da folli rinunciare ad esso..”.
Si tratta del più grande inganno che suscita l’Anello. Il più grande inganno che suscita nei “Buoni”. Perché i malvagi, semplicemente, lo vogliono per volontà di potere, e per la bramosia malata che esso suscita in loro. Molti dei buoni, invece, lo vogliono perché credono che il suo potere possa essere utilizzato per fini positivi.
Ma questo è impossibile.
Chi lo utilizzerà ne verrà inevitabilmente corrotto, fino a diventare l’oscena parodia di ciò che era; fino a mutare in un essere degradato intriso di desolazione.
E’ straordinariamente emblematica la metafora costruita da Tolkien con l’Unico Anello.
Il male non potrà mai servire per attuare il bene.
Il potere assoluto porterà corruzione assoluta.
Non è possibile alcun compromesso con esso.
Viene spazzata via tutta la contro-etica machiavellica, l’etica perversa che il potere ha abbracciato da sempre nel nostro mondo, quella per cui “Il fine giustifica i mezzi”.
Usare le armi del male per il bene quando non è ipocrisia, è autoinganno, questo, anche questo dice Tolkien.
Gandalf nell’opera di Tolkien incarna la figura della saggezza, del grande mago che conosce i segreti del mondo, dell’ “uomo profetico” che cerca di richiamare gli altri all’azione giusta da intraprendere. Gandalf è presente nella Terra di Mezzo, insieme a pochi altri grandi maghi, da tempo immemorabile. Durante il Consiglio di Elrond, Gandalf narra come Saruman, il capo del suo ordine, si sia piegato a Sauron.
Alcuni dei passaggi del confronto di Gandalf con Saruman sono talmente carichi di forza, che vanno assolutamente riportati:
«“Così sei venuto, Gandalf”, mi disse grave, ma nei suoi occhi pareva ci fosse una luce strana, il
riflesso di un gelido riso del cuore.
«“Sì, sono venuto”, risposi. “Sono venuto in cerca del tuo aiuto, Saruman il Bianco”. Quell’appellativo parve incollerirlo.
«“Veramente, Gandalf il Grigio?”, disse beffardo.“In cerca d’aiuto? E’ cosa alquanto insolita che
Gandalf il Grigio cerchi aiuto, uno astuto e saggio come lui, che va girando in tutti i paesi, interessandosi di qualsiasi faccenda, anche di quelle che non lo riguardano”.
«Lo guardai meravigliato. “Ma se non m’inganno”, dissi, “cominciano a muoversi delle
cose che richiederanno l’unione di tutte le nostre forze”.
«“Può darsi”, disse, “ma molto tempo hai impiegato per arrivare a questa conclusione. Sin daquando, vorrei sapere, hai tenuto nascosto a me, capo del Consiglio, un fatto di importanza capitale?
Come mai hai lasciato ora il tuo covo nella Contea per venire qui?”.
«“I Nove sono di nuovo in movimento”, risposi. “Hanno attraversato il Fiume. Mi è stato detto da Radagast”.
«“Radagast il Bruno!”, rise Saruman, senza più celare il suo disprezzo. “Radagast il Domatore d’uccelli! Radagast il Semplice! Radagast loSciocco! Eppur gli è bastata quel po’ d’intelligenza per recitare la parte che gli ho affidata. Tu sei venuto, ed era quello lo scopo del mio messaggio. E qui rimarrai, Gandalf il Grigio, e ti riposerai dei lunghi viaggi. Perché io sono Saruman il Saggio, Saruman Creatore d’Anelli, Saruman Multicolore”.
«Lo guardai, e vidi che le sue vesti non erano bianche come mi era parso, bensì tessute di tutti i colori, che quando si muoveva, scintillavano e cambiavano tinta, abbagliando quasi la vista.
«“Preferivo il bianco”, dissi.
«“Bianco!”, sogghignò. “Serve come base. Il tessuto bianco può essere tinto. La pagina bianca ricoperta di scrittura, e la luce bianca decomposta”.
«“Nel qual caso non sarà più bianca”, dissi. “E colui che rompe un oggetto per scoprire cos’è, ha
abbandonato il sentiero della saggezza”.
«“Non è necessario che tu mi parli come ad uno degli sciocchi che prendi per amici”, disse.
Il mantello Bianco che diventa Multicolore è il segno dell’avere abbandonato la via del bene, per la via dell’ambiguità, della manipolazione e dell’inganno, la via del controllo. Gandalf dice a Saruman:
“E colui che rompe un oggetto per scoprire cos’è, ha abbandonato il sentiero della saggezza”.
Gandalf con poche parole ha già svelato la falsa sapienza di chi pensa di potere muoversi tra luce e ombra, di poter mescolare bene e male, di confondere ogni cosa. Saruman pur irritato continua, perché ha qualcosa da proporre a Gandalf.
“Non ti ho fatto venire affinché tu mi istruisca, bensì per proporti una scelta”.
«Si eresse, incominciando a declamare come se stesse recitando un discorso a lungo ripetuto. “I Tempi Remoti non sono più. I Giorni Intermedi stanno passando. I Giovani Giorni stanno per incominciare. Finito il tempo degli Elfi, la nostra ora è vicina: il mondo degli Uomini che dobbiamo dominare. Ma abbiamo bisogno di potere, potere per ordinare tutte le cose secondo la nostra volontà, in funzione di quel bene che soltanto i Saggi conoscono. Ascoltami, Gandalf, vecchio amico e collaboratore!», disse avvicinandosi, e raddolcendo la voce. ‘Ho detto noi, perché così sarà se ti unirai a me. Una nuova Potenza emerge. Inutili sarebbero contro di essa i vecchi alleati e l’antico modo d’agire. Non vi è più alcuna speranza per gli Elfi, o per i Numenoreani morenti. Questa è dunque la scelta che si offre a te, a noi: allearci alla Potenza. Sarebbe una cosa saggia, Gandalf, una via verso la speranza. La vittoria è ormai vicina, e grandi saranno le ricompense per coloro che hanno prestato aiuto. Con l’ingrandirsi della Potenza anche i suoi amici fidati s’ingigantiranno; ed i Saggi, come noi, potrebbero infine riuscire a dirigerne il corso, a controllarlo. Si tratterebbe soltanto di aspettare, di custodire in cuore i nostri pensieri, deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all’alta mèta prefissa: Sapienza, Governo, Ordine; tutte cose che invano abbiamo finora tentato di raggiungere, ostacolati anziché aiutati dai nostri amici deboli o pigri. Non sarebbe necessario, anzi non vi sarebbe un vero cambiamento nelle nostre intenzioni; soltanto nei mezzi da adoperare”.
«“Saruman”, gli dissi, “ho udito prima d’oggi discorsi dello stesso genere, ma soltanto in bocca di emissari inviati da Mordor per ingannare gli ingenui. Non posso pensare che tu mi abbia fattovenire qui per stancare le mie orecchie”
Un nuovo Potere sta sorgendo, dice in sostanza Saruman. E’ l’alba di una nuova era.
La forza del Signore Oscuro è ormai inarrestabile ed opporsi è da folli.
La via migliore è allearsi con lui, in modo da essere ricompensati ed avere un ruolo importante nella nuova epoca alle porte.
In questo modo, da posizioni di potere si potrà evitare che il male si scateni in tutta la sua ferocia e, avendo pazienza, e tollerando gli orrori che, specie i primi tempi verranno commessi –pur deplorandoli nel proprio intimo- si cercherà, piano piano di fare evolvere il corso degli eventi verso una direzione più accettabile.
“Non ci sarà un’alterazione dei nostri fini”, dice Saruman rassicurante. “Tranquillo Gandalf”, è il senso rassicurante delle sue parole “noi saremo quelli di sempre nel nostro intimo..ma semplicemente, come strategia del momento, saremo “flessibili”, accetteremo quello che non possiamo contrastare, entreremo nel Nuovo Mondo che il Signore Oscuro forgerà, e agiremo dall’interno cercando di farlo evolvere verso forme più accettabili.
Non vi sembra una filastrocca già sentita?
“Pieghiamoci, sottomettiamoci, e poi agiamo dall’interno… è il modo più ragionevole per perseguire i nostri fini..”.
Quante volte si sono usate parole come queste per giustificare la propria sottomissione a quello che veniva visto come il Potere dominante?
E quante altre volte le sentiremo?
Ed è davvero difficile riuscire in parole come queste a distinguere l’autoinganno di chi davvero crede di potere insinuarsi all’interno di sistemi malvagi e indirizzarli verso altro e l’ipocrisia di chi ha capito che, con belle parole, bisogna schierarsi col cavallo vincente. A volte entrambi gli aspetti sono presenti.
In Saruman le belle parole sono tradite anche dalla senso gerarchico e manipolatorio che egli dà al suo ruolo
“il mondo degli Uomini che dobbiamo dominare. Ma abbiamo bisogno di potere, potere per ordinare tutte le cose secondo la nostra volontà, in funzione di quel bene che soltanto i Saggi conoscono. (…) Con l’ingrandirsi della Potenza anche i suoi amici fidati s’ingigantiranno; ed i Saggi, come noi, potrebbero infine riuscire a dirigerne il corso, a controllarlo.”
Controllare, guidare, dominare. Che le intenzioni di Saruman non siano pure si vede anche dalle parole che usa. Ma avesse anche le migliori intenzioni, è la via che ha scelto e che propone a Gandalf ad essere una via senza ritorno.
Gandalf ha ben chiaro che l’idea di incunearsi nel male per poi influenzarlo dall’interno è una finta scaltrezza che in realtà rivela infinita stupidità.
L’Oscuro Signore, se riuscirà nei suoi intenti, realizzerà un tempo del buio assoluto, un tempo pervaso da una tale malvagità che non potrà essere intaccata da nulla, e anzi corromperà tutto intorno a sé. In un’epoca del genere non ci sarà nessuna possibilità di “influenzare il corso degli eventi”.
E comunque, adesso un Saruman, e altri alleati potenti possono essere utili a Sauron. Ma Sauron, quasi certamente non esiterebbe un attimo a schiacciare Saruman, una volta non fosse più utile ai suoi fini.
Ma, a prescindere, non puoi appoggiare l’avvento di un’era del terrore, quali che siano i tuoi scopi, quali che siano i tuoi calcoli; e anche se il suo avvento sembra inevitabile.
Non si può combattere il Potere con il Potere.
C’è solo una cosa che può essere fatta, e che potrà cambiare il corso degli eventi.
Qualcosa che non ha nulla a che vedere con la conquista del Potere.
Distruggere l’Anello.
L’esistenza di Sauron è così profondamente intrecciata con l’Unico Anello, che la sua distruzione porterebbe al suo annichilimento. Mentre la sua conquista da parte di Sauron renderebbe il suo potere assoluto e la sua vittoria definitiva.
Si tratta, e Gandalf lo dirà chiaramente a Frodo, di qualcosa che Sauron considererebbe talmente folle da non poterla neanche immaginare. Sarà lo scommettere su una carta che lui neanche ha preso in considerazione. Questo potrà dare al piano qualche chance di potere essere realizzato. L’unica chance è perseguire qualcosa che per il mondo può essere “folle”, rinunciare alla fonte del Potere assoluto, distruggerla. Distruggere l’Anello.
C’è solo un luogo in cui esso può essere distrutto. Il Monte Fato dove venne forgiato.
E Frodo, il nipote di Bilbo, sarà il portatore dell’Anello. Colui a cui è stato dato il compito di tenere con sé questo fardello fino al momento in cui dovrà essere distrutto. Un “fardello” perché l’anello, anche solo a tenerlo con sé, senza metterselo al dito, indebolisce e ammala. Il cammino di Frodo diventerà sempre di più un calvario, anche perché l’Anello “non vuole essere distrutto”, e si farà sentire come un peso sfiancante, che quasi toglie il respiro al povero Frodo.
Comunque, il Viaggio di Frodo inizia come un viaggio collettivo. E’ una Compagnia quella che Gandalf, costituisce e di cui esso stesso fa parte come guida. La Compagnia dell’Anello. Una compagnia in cui oltre a Gandalf, a Frodo e a tre hobbit a lui cari che lo seguono –il suo servitore Sam e gli amici Merry e Pipino- ci sarà un guerriero umano, Boromir, l’elfo Legolas, il nano Gimli, e Aragorn, che fino a quel momento si era aggirato per lande e contrade come un “ramingo” chiamato Granpasso e che era destinato a diventare il nuovo Re degli uomini.
Sarebbe davvero lungo narrare e commentare tutti gli sviluppi del Signore degli Anelli; e non è lo scopo di questo testo. Mi soffermerò su altri aspetti emblematici.
GANDALF CONTRO IL BALROG
Una volta che la Compagnia dell’Anello giunge nelle Miniere di Moria, una delle più antiche e gloriose dimore dei nani, esce allo scoperto il Balrog. I Balrog erano una sorta di demoni del fuoco; molto alti e imponenti ed armati di fruste fiammeggianti, avevano da sempre servito l’Oscurità. Ormai nel mondo ne erano rimasti pochissimi, che vivevano nelle viscere della terra da migliaia di anni; uno di questi, chiamato “il flagello di Durin” fu proprio quello in cui si imbatté la compagnia dell’anello.
Gandalf per salvare la Compagnia, si pone di fronte al Balrog sul ponte di Khazad Dum.
Il Balrog non era una creatura che poteva essere affrontata con armi comuni. Solo Gandalf, portatore di una forza sacra, poteva affrontarlo.
Inizia uno scontro tra i due, nell’ambito del quale Gandal fa crollare il ponte per fare precipitare il Balrog. Nella sua caduta il Balrog avvolge Gandalf trascinandolo con sé.
Il combattimento fra Gandalf ed il Balrog si protrasse a lungo, negli abissi più oscuri della terra e sulle cime più inaccessibili del mondo tanto che chi vedeva il combattimento credeva che un incendio infuriasse sulle cime del monte dato che dal basso vedeva solo un piccolo bagliore lontano.
Nelle miniere di Moria la compagnia fu assalita da un gruppo di orchi e dal Blarog.
Gandalf lo affrontò sul Ponte di Khazad-dum.
“Il Balrog giunse al ponte. Gandalf era in piedi al centro della sala e con la mano sinistra si appoggiava al bastone, mentre nella destra Glamdring scintillava, fredda e bianca. Il nemico si arrestò nuovamente, fronteggiandolo, ed intorno ad esso l’ombra allungò due grandi ali. Il Balrog schioccò la frusta, e le code scricchiarono e fischiarono. Del fuoco si sprigionava dalle sue narici: ma Gandalf rimase fermo e immobile.
«Non puoi passare», disse. Gli Orchetti tacquero, e si fece un silenzio di morte. «Sono un servitore del Fuoco Segreto, e reggo la fiamma di Anor. Non puoi passare. A nulla ti servirà il fuoco oscuro, fiamma di Udûn. Torna nell’Ombra! Non puoi passare».”
Gandalf colpì con il bastone il ponte davanti a sé che cominciò a crollare sotto i piedi del Balrog, e questi cominciò a sprofondare nell’abisso, ma prima con la sua frusta afferrò una gamba di Gandalf trascinandolo con se. Inizia uno sprofondamento, una caduta nell’abisso.
“«Caddi per molto tempo», riprese infine lentamente, come se riandare indietro con la mente gli fosse difficile. «Caddi per molto tempo, e lui con me. Il suo fuoco mi avvolgeva. Avvampai. Poi precipitammo nelle acque profonde e tutto fu buio. Erano fredde come il mare della morte, e mi ghiacciarono quasi il cuore».
«Profondo è l’abisso varcato dal Ponte di Durin, e nessuno mai lo ha misurato», disse Gimli.
«Tuttavia ha un fondo, al di là della luce e di ogni conoscenza», disse Gandalf. «Ivi giunsi infine, nelle estreme fondamenta della pietra. E lui era ancora con me. Il suo fuoco era spento, ma ora si era tramutato in un essere di fango e melma, più forte di un serpente strangolatore.
Lottammo a lungo nelle profondità della viva terra, ove il tempo non esiste. Sempre mi afferrava e sempre io lo colpivo, e infine fuggì attraverso oscure gallerie. Non erano state scavate dal popolo di Durin, Gimli figlio di Gloin. Giù, molto più giù dei più profondi scavi dei Nani, esseri senza nome rodono la terra. Persino Sauron non li conosce. Essi sono più vecchi di lui. Adesso io ho camminato in quei luoghi, ma non narrerò nulla che possa oscurare la luce del sole. Disperato com’ero, il mio nemico era l’unica speranza che avessi, e lo inseguii afferrandogli le caviglie. Così mi condusse dopo molto tempo nei segreti passaggi di Khazad-dûm, che conosceva sin troppo bene. Poi continuammo a salire, sempre più in alto, e giungemmo all’Interminabile Scala» […] «S’inerpica dalla galleria più profonda sino alla vetta più alta, una spirale ininterrotta di molte migliaia di gradini che ascende sino alla Torre di Durin, scavata nella viva roccia di Zirakzil, la punta estrema di Dentargento.
Ivi, in cima a Celebdil, vi era una solitaria finestra nella neve, e al di là di essa uno stretto spazio, che pareva un vertiginoso nido d’uccello rapace sovrastante le nebbie del mondo. Il sole vi scintillava con violenza, ma in basso ogni cosa era avvolta dalle nubi. Lui con un balzo fu all’aperto, e nel momento in cui lo raggiunsi avvampò in nuove fiamme.
[…]
Un grande fumo s’innalzò intorno a noi, vapori e foschie si sprigionarono. Il ghiaccio cadde come pioggia. Scaraventai giù il mio nemico, e lui precipitando dall’alto infranse il fianco della montagna nel punto in cui cadde. Allora fui avvolto dall’oscurità, errai fuori dal pensiero e dal tempo, e vagabondai lontano per sentieri che non menzionerò.
Infine fui rimandato nudo là dove l’oscurità mi aveva colto. E giacqui nudo in cima alla montagna. La torre dietro di me non era altro che polvere, e la finestra scomparsa; la scala in rovina soffocata dai massi arsi ed infranti. Ero solo, dimenticato, senza speranza di salvezza, sul duro corno del mondo. Ivi, supino, guardavo sopra di me le stelle compiere il loro ciclo, e ogni giorno era lungo come una vita terrena. Vago alle mie orecchie giungeva il rumore confuso di tutte le terre: il sorgere e il morire, il canto e il pianto, e il lento eterno gemito della pietra sotto il troppo pesante fardello. Così infine mi trovò Gwaihir, il Re dei Venti; mi prese con sé e mi portò via».
Tutta la vicenda descritta rappresenta un’esperienza di morte e risurrezione per Gandalf.
Affrontando il Balrog affronta una “prova sacra”, uno scontro dove deve sprofondare in un abisso che è lo stesso abisso della sua anima e lì, in uno scontro totale, purificarsi.
Dopo giorni e giorni di battaglia, Gandalf sconfigge definitivamente il Balrog, e muore.. “Allora fui avvolto dall’oscurità, errai fuori dal pensiero e dal tempo, e vagabondai lontano per sentieri che non menzionerò”.. ma venne rimandato ancora una volta nel mondo.. “Infine fui rimandato nudo là dove l’oscurità mi aveva colto.”
Lì venne trovato da Gwair, il Re delle aquile e portato da Galadriel, la Signora degli Elfi del bosco di Lotlorien, dove gli vennero curate le ferite e fu rivestito col manto Bianco. Da questo momento Gandalf non fu più Gandalf il Grigio, ma Gandalf il Bianco.
Naturalmente era sempre Gandalf.. ma non era più lo stesso Gandalf di prima..
“Sono molto mutato da quei tempi e non sono più impastoiato dai gravami della Terra di Mezzo com’ero allora” .
Questa esperienza di lotta contro i propri demoni, di sprofondamento nelle viscere del mondo e anche nelle viscere della propria anima, porta Gandalf alle fondamenta di se stesso, dove tutto è perduto e dove tutto può avvenire. Da quelle fondamenta, Gandalf, avvolto al Balrog, sale la lunga Scala -una Scala che rappresenta una sorta di percorso di innalzamento- giungendo alla cima di una montagna e da là scaraventa il Balrog nell’abisso, annientandolo definitivamente. A quel punto Gandalf, sfinito, muore, avendo vinto la sua battaglia interiore. Ma viene rimandato nel mondo. Gandalf ritorna trasformato, la sua natura, la sua comprensione, il suo potere sono stati accresciuti. Ora non è più “Gandalf il Grigio”, ma “Gandalf il Bianco e può giocare un ruolo più ancora più prezioso nella lotta contro il Male.
DAVANTI A RE THEODEN
Gandal il Bianco insieme a Legolas, Aragorn e Gimli va da TheodeN re di Rhoan che era stato reso sostanzialmente impotente dal suo consigliere Vermilinguo; Un essere viscido, che lo aveva intrappolato negli incantesimi biforcuti della sua lingua, facendo sentire il re sempre più stanco e debole. Facendolo sentire “vecchio”, non solo nel corpo, ma anche nell’anima, avvizzito nel cuore. Gandalf scioglie gli incantesimi di Vermilinguo rivelando la sua sottomissione a Saruman e scuote Theoden dal sonno che lo aveva reso “un vecchio”.
Alcuni estratti rendono bene il progressivo ritorno di Theoden in se stesso
(Gandalf) «Non tutto è oscuro. Abbi fede, Signore del Mark, perché non troverai aiuto migliore. Non ho consigli da dare ai disperati; eppure a te potrei dare consigli e pronunziare parole di speranza. Vuoi udirle? Non sono per tutte le orecchie. Ti prego di venir con me davanti alle tue porte e di mirare lontano. Troppo a lungo sei rimasto seduto nelle ombre, fidando in racconti contorti e suggerimenti disonesti».
(…)
«Non è poi così buio qui», disse Théoden. «No», disse Gandalf. «E gli anni non pesano sulle
tue spalle come alcuni vorrebbero. Getta via il bastone!».
Dalla mano del Re il nero bordone cadde rumorosamente sulle pietre. Egli si rizzò, pian piano, come un uomo rigido dal lungo curvarsi su qualche triste e duro lavoro. Infine si eresse alto e dritto, ed i suoi occhi blu guardarono il cielo che si
apriva.
(…)
«Non vuoi prendere la spada?», disse Gandalf. Lentamente Théoden allungò la mano. Le dita e il magro braccio afferrando l’elsa parvero acquistare nuovo vigore e rinnovata forza. D’un tratto egli alzò la lama e la fece roteare scintillante e sibilante. Poi lanciò un grido potente. La sua voce squillò limpida nel cantare nella lingua di Rohan
un richiamo alle armi.
Desti ora, desti, Cavalieri di Théoden!
Terribili eventi nell’oscuro Oriente.
Sellate i cavalli, suonate le trombe!
Avanti Eorlingas!
Le guardie, credendo di essere state chiamate, salirono in un baleno la scala. Stupefatti guardarono il loro signore, poi come un solo uomo sguainarono le spade e le deposero ai suoi piedi.
«Ordina, signore!», dissero.
«Westu Théoden hàl!», esclamò Éomer. «E’ una
grande gioia per noi vedere che hai ritrovato te stesso.”
Il “risveglio” di Re Theoden è un grande momento.
Il suo “sonno” era il sonno della debolezza inoculata col miele, era la flaccida debolezza somministrata dal finto bene, il bene che infiacchisce, il bene che ti uccide dentro con polvere di zucchero, il bene incestuoso. Il bene di chi ti riempie di carezze e doni per intrappolarti e farti marcire. Il bene del “quanto sei prezioso per me.. quanto mi sei caro… fa che ti protegga.. fa che io mi prenda cura di te… e non uscire fuori.. no, c’è vento ed è troppo pericoloso.. non correre rischi… non hai più le forze vedi?.. stai qui al calduccio… ormai sei debole.. gli anni passano.. riposa le tue ossa… riposa.. ci penso io a te… non fare sforzi… prendi la tisana, stai avvolto nelle coperte… restatene là… che mi occuperò io di tutto.. perché sei vecchio..vecchio..vecchio… ma io ti voglio così bene..”.
Gandalf spezza l’incantesimo, la lingua manipolatira di Grima Vermilinguo.. il nome dice tutto.. “lingua di verme”… Gandalf richiama Theoden alla sua forza interiore.
“Ti hanno fatto credere di essere vecchio e debole… ma tu sei un uomo.. prendi la spada…alzati in piedi..”.
La vera vecchiaia non è data dagli anni. Ma da questo veleno che ti mettono dentro per incatenarti.
Ma tu puoi scioglierlo.
Questo è uno dei sensi profondi del risveglio di Re Theoden.
La spada che Gandalf gli porge, la sta porgendo anche a te che leggi, e la porge a tutti quelli che cominciano a ritirarsi nel loro cantuccio, a non credere più, a non osare più.. a vivere da “vecchi”.
“Prendi questa spada” è il richiamo a ritornare in noi stessi, ad uscire dalla fortezza protetta, a riprendere la lotta, a stare in piedi.
MANI DI RE, MANI DI GUARITORE
Un altro momento di grande forza simbolica è il riconoscimento della regalità di Aragorn. Riconoscimento che avviene nel momento in cui dimostra di sapere guarire i feriti, dopo la battaglia condotta presso le mura di Minas Tirith, capitale del regno di Gondor. Naturalmente, già da molto prima, fin dall’inizio della missione, Gandalf e gli altri compagni e alleati sapevano che Aragorn era colui che doveva diventare Re. L’episodio con i feriti è però uno di quei “segni” che manifestano la “vera regalità”. Uno di quei momenti che fa sorgere in tutti la consapevolezza che effettivamente il Re è tornato.
All’interno delle mura di Minas Tirith vi sono le Case di Guarigione, che sono il luogo dove vengono curati i feriti delle battaglie.
Nelle Case di Guarigione ci sono anziane donne di Gondor che fungono da guaritrici.
Nella battaglia condotta contro l’esercito oscuro le ferite non erano state fisiche, ma anche interiori, sprituali. Faramir figlio del cupo –e poi autoimmolatosi- Sovrintendente di Gondor, Denethor- aveva ricevuto una di queste ferite:
La vecchia Loreth, vedendo la sofferenza di Faramir rievoca l’antica leggenda sul potete taumaturgico dei veri Re.
Allora una vecchia, Ioreth, la più anziana delle donne che servivano in quella casa, guardando il bel viso di Faramir si mise a piangere, perché tutti lo amavano. Ed ella disse: «Ahimè, se dovesse morire! Se almeno Gondor avesse dei re come quelli che pare regnassero in passato! Perché le antiche saghe dicono: Le mani del re sono mani di guaritore. E in tal modo si poteva sempre riconoscere il vero re». Allora Gandalf, che si trovava lì vicino, disse: «Gli Uomini ricorderanno forse a lungo le tue parole, Ioreth! In esse vi è della speranza. Forse un re è davvero tornato a Gondor: non hai forse udito le strane notizie giunte in Città?».
Poco dopo, Gandalf dirà ad Aragorn di recarsi presso le case di Guarigione per aiutare le persone ferite nel corpo e nello spirito. Aragorn dopo essersi fatto portare alcune “foglie di Re” (una pianta chiamata Athelias in Numoreano) , le fa mettere in un bacino di acqua calda, si bagna le mani in questo liquido e lascia che i suoi benefici vapori impregnino l’aria; a quel punto tira fuori le mani dal bacino e a quel punto comincia, proprio con Faramir la sua opera di guarigione. Faramir si ridesta dalla sua ombra..
Ad un tratto Faramir si mosse, aprì gli occhi, e guardò Aragorn chino su di lui; i suoi occhi brillarono d’una luce di coscienza e di affetto ed egli parlò dolcemente. «Mio sire, mi hai chiamato. Sono venuto. Cosa comanda il re?».
«Non camminare più nelle ombre, svegliati!», disse Aragorn. «Sei molto stanco. Riposa adesso, e prendi del cibo, e sii pronto quando tornerò».
«Lo sarò, mio signore», disse Faramir. «Chi potrebbe rimanere ozioso, ora che il re è tornato?». Dopodchè Aragorn contginua la sua opera di guarigione. Ma tutti adesso sanno che lui è il Re.
Presto si sparse la voce che il re era davvero tornato tra loro e che, dopo la guerra portava la guarigione.
La “regalità” incarnata da Aragorn non ha nulla a che vedere con la tirannia e la dominazione. Tolkien si richiama al simbolismo del Re come Supremo Servitore del Popolo, colui che è chiamato a restaurare la legge e la giustizia, a dare vita a un nuovo tempo di armonia. Anche per questo riprende una delle “qualità” che la leggenda medioevale attribuiva agli antichi re taumaturghi. La capacità di guarire.
LA PIETAS TOLKENIANA E LA DISTRUZIONE DELL’ANELLO
La fine dell’anello sarà fino all’ultimo nelle mani di Frodo e di Sam, il suo fido servitore, che da soli si erano inoltrati per le più buie contrade di Mordor, il cuore della terra direttamente controllata da Sauron, per giungere al monte Fato e distruggere l’anello.
Allo scopo di dare loro qualche chance in più, Gandalf, Aragorn e i loro più fidi alleati assemblano un esercito per andare a combattere davanti al nero cancello dove Sauron risiede. Lo scopo di questa battaglia non è quello di vincere Sauron con le armi. Ormai il potere dell’Oscuro Signore è troppo grande perché possa essere contrastato con le armi. La battaglia, l’ultima battaglia, ha solo uno scopo, prendere tempo.. per dare a Frodo e Sam.. se ancora vivi.. la possibilità di portare a termine la loro ultima missione.
Dopo traversie e pericoli di ogni genere Frodo e Sam giungono finalmente davanti alla voragine del Monte Fato, dove c’è l’unico fuoco che può distruggere l’anello.
Ma lì Frodo cambia idea e decide che non avrebbe distrutto l’anello, ma lo avrebbe tenuto per sé. L’Anello era riuscito alla fine a soggiogarlo. Tutto sarebbe stato vano, e l’intera Terra di Mezzo sarebbe ricaduta nell’oscuità se non fosse stato per Gollum. Gollum da cui Bilbo ricevette l’anello. Gollum che da tempo si era incontrato con Sam e Frodo nel loro cammino verso il monte Fato e che loro, con molti dubbi, avevano accettato come guida. Gollum che in più di una occasione aveva fatto capire le sue vere intenzioni –riavere l’anello- e aveva rappresentato un pericolo. Eppure, pur trovandosi nella condizione di farlo, né Frodo né Sam, gli tolgono la vita, come non gliel’aveva tolta Bilbo tanto tempo prima.
Bilbo nello Hobbit aveva avuto la possibilità di togliere la vita a Gollum, ma ebbe pietà:
“Doveva pugnalare quel pazzo, cavargli gli occhi, ucciderlo. Voleva ucciderlo. No, non era un combattimento leale. Egli era invisibile adesso. Gollum non aveva ancora realmente minacciato di ucciderlo, o cercato di farlo. Ed era infelice, solo e perduto. Un’improvvisa comprensione, una pietà mista a orrore, sgorgò nel cuore di Bilbo: rapida come un baleno gli si levò davanti la visione di infiniti, identici giorni, senza una luce o speranza di miglioramento: pietra dura, pesce freddo, strisciare e sussurrare. Tutti questi pensieri gli passarono davanti in una frazione di secondo. Egli tremò.”
Nel Signore degli Anelli, Frodo, una volta venuto a sapere tutta la storia dell’Anello e del compito che adesso gravava su di lui, chiese a Gandalf perché Bilbo non aveva uccise quell’essere viscido e pieno di squallore pur avendone la possibilità, dato che meritava la morte. Le risposte di Gandalf furono impareggiabili:
“Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze. Ho poca speranza che Gollum riesca…a guarire prima di morire. Ma c’è una possibilità. … Il cuore mi dice che prima della fine di questa storia l’aspetta un’ultima parte da recitare … , e quando l’ora giungerà, la pietà di Bilbo potrebbe cambiar eil corso di molti destini e soprattutto del tuo.”
Gandalf, in un altro passaggio, sempre parlando di Bilbo, dice a Frodo:
“Fu la pietà a fermargli la mano. Pietà e misericordia: egli non volle colpire senza necessità. E fu ben ricompensato di questo suo gesto. … Stai pur certo che se è stato grandemente risparmiato dal Male, riuscendo infine a scappare e a trarsi in salvo è proprio perché all’inizio del suo possesso dell’Anello vi è stato un atto di pietà.”.
Quando Frodo e Sam incontrano Gollum, mentre stanno cercando da soli la strada per giungere al Monte Fato, Sam propone di legarlo per impedirgli di nuocere; Gollum prega di non farlo piagnucolando e Frodo prende le sue difese discostandosi dall’amico:
“No. … Una tale azione non ci è permessa così come stanno le cose. Povero disgraziato! Non ci ha fatto alcun male.”.
E aggiunge:
“Non toccherò questo essere. Infatti, ora che lo vedo, mi fa pietà.”
Lo stesso Sam, che più volte aveva pensato di farla finita con Gollum, in un passaggio successivo, pur potendo eliminarlo definitivamente, viene preso da un sentimento di pietà, nonostante avesse subito da poco una aggressione:
“Non poteva colpire quella cosa distesa nella sabbia, disperata, distrutta, miserevole. Lui stesso aveva portato l’Anello, solo per poco tempo, ma poteva vagamente immaginare l’agonia della mente e del corpo di Gollum, incatenato all’Anello, dominato, incapace di ritrovare nella vita mai più pace o sollievo.”.
Quando, davanti alle voragini del Monte Fato, Frodo rinuncia al proposito di gettare al suo interno l’anello e se lo mette al dito, sarà Gollum che aveva continuato a seguire Frodo e Sam a lanciarsi verso frodo, che intanto era diventato invisibile, a sottrargli l’anello e poi, gongolando per la gioia di avere ritrovato l’anello, inciamperà per cadere nelle voragini del Monte Fato insieme all’anello che sarà irrimediabilmente distrutto, portando con sé la distruzione di Sauron e con essa il definitivo venire meno dei suoi piani.
L’uomo ha il dovere di avere sempre pietà e misericordia. Ecco uno degli insegnamenti di tutta la vicenda Gollum.
Non sembrava quella di Gollum il prototipo di una vita squallida, indegna, disprezzabile?
Non sarebbe stata la cosa più comprensibile il volergli dare la morte?
Eppure se Bilbo o Frodo o Sam gli avessero dato la morte, il mondo sarebbe sprofondato nell’oscurità più assoluta. Perché sarà Gollum, alla fine, involontariamente, a far pendere le cose dalla parte del bene.
“Non essere troppo generoso nel distribuire la morte..” disse Gandalf a Frodo.
Ogni volta che è possibile, si deve cercare di non distribuire morte. Ogni volta che è possibile si deve avere pietà, compassione, misericordia.
Da essa, come nel caso della distruzione dell’Anello, potranno venire frutti che nessuno prima avrebbe immaginato.
LA FINE DI UN MONDO
Con la distruzione dell’Unico Anello, il regno di Sauron finisce per sempre.
Finisce anche il tempo degli Elfi, perché, con la distruzione dell’Unico, anche i loro anelli perdono potere, e il mondo della Terra di Mezzo è destinato a diventare grigio ai loro occhi.
Gli Elfi salperanno con le ultime navi verso le dimore immortali dei Valar, precluse agli uomini.
Con loro partirà anche Gandalf e anche Frodo e Bilbo che, in quanto portatori dell’anello, avranno concesso questo privilegio.
Ma non saranno solo gli Elfi a sparire dalla Terra di Mezzo. Gradualmente saranno destinate a venire meno i nani e tutte le altre creature non umane.
Il Signore degli Anelli è anche il libro della perdita irrimediabile.
Il Bene alla fine vince e Sauron viene ridotto alla definitiva impotenza, ma il mondo perderà gran parte della sua poesia.
Con gli eventi dell’Anello, si conclude la Terza Era del Mondo, e inizia la Quarta, l’Era degli Uomini, l’Era in cui tutte le antiche cose, gli antichi miti, l’antica magia, gli antichi esseri non umani scompariranno dal mondo. E con essi una sublime dolcezza, e una ineffabile Grazia si perderanno, per essere forse ritrovate da quelle anime così aperte e sensibili che ancora saranno capaci di rintracciare la via per altri mondi, che ancora sapranno cogliere i bagliori della Magia, la voce della Poesia.
L’ETERNA BATTAGLIA
Ma dopo la sconfitta definitiva di Sauron, il male si manifesterà nuovamente nel mondo?
Ci sono delle bellissime parole che Gandalf pronuncia in un passaggio del libro, poco prima che venga deciso di attaccare il Nero Cancello.
“Altri mali potranno sopraggiungere, perché Sauron stesso non è che un servo o un emissario. Ma non tocca a noi dominare tutte le maree di questo mondo; il nostro compito é fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare. Ma il tempo che avranno non dipende da noi”.
Anche se Sauron è stato schiacciato e non potrà più ritornare, il male non è stato estirpato per sempre. Nelle epoche future il Male tornerà sotto altre sembianze. La sfida contro di esso sarà lunga quanto la storia dell’uomo. Non è dato a noi di impedire che questo accada; non possiamo “dominare tutte le maree di questo mondo”. Questo è il senso delle parole di Gandalf. Ciò che davvero importa è fare oggi quanto ci è richiesto, è spenderci oggi “per la salvezza degli anni nei quali viviamo”, al fine da lasciare a chi ci seguirà “una terra sana e pulita da coltivare”. Noi possiamo fare fino in fondo la nostra parte. Questo vuol dire vivere con onore.
Ricordo che questo meraviglioso libro mi fu prestato da zio quando avevo 12 anni e mi conquistò con così tanta forza, che la notte, quando venivano a spegnarmi la luce perché era troppo tardi, accendevo l’abat-jour sotto le coperte e continuavo, bramoso, la lettura. Per me tutto quel mondo era una mondo straordinario, ma vivo. “Vedevo” Gandalf, Aragon, Frodo, Legolas e tutti gli altri. E quando il libro finì, sentii un violento senso di perdita e nostalgia. E favoleggiavo potesse esistere una Biblioteca Segreta con le continuazioni di tutti i Grandi Libri. Finché, anni dopo, compresi, che le Grandi Storie continuano dentro di noi. Perché di noi esse parlano. E perché a noi consegnano Simboli da fare vivere nel nostro cuore e seminare nel mondo.